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Lettere alla redazione

Dice ’o serpe: damme addó vuo’, ma nun me da’ ’n capa

Inserito da (redazionelda), martedì 27 novembre 2018 09:32:13

di Salvatore Sorrentino*

Caro Direttore,

ti sarò molto grato se vorrai pubblicare questi pochi righi, riguardanti il mio ultimo articolo che ti ho inviato e che tu, gentile e disponibile come sempre, hai pubblicato. Te ne ringrazio.

«Dice 'o serpe: damme addó vuo', ma nun me da' 'n capa».

Sono stato rimproverato, e pesantemente, e soprattutto da un carissimo amico mio.

E allora dico: se ho torto, condannatemi, scrivetemi, telefonatemi a casa, e rimproveratemi. Il mio numero personale, non temo a renderlo pubblico, è il seguente: 333 1903 757. Informo che, mio malgrado, il numero non è collegato a whatsapp.

Un carissimo giovane mio amico, di buon mattino, mi ha chiamato e ... mi ha rimproverato, perché, ha detto che io sarei informato a senso unico. Io gli sono molto grato, perché mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto dubitare: ma, vuoi vedere che questo giovanotto ha ragione!

Ero impegnato in un incontro plurimo, su argomenti personali, ma molto importanti. Ho rapidamente concordato un incontro al più presto. Ho solo velocemente ribattuto che non mi pareva di aver dato delle sentenze, ma solo di aver espresso, liberamente, sì, liberamente, come sono abituato a fare, come ho sempre fatto, le mie idee, le mie impressioni.

A mente riposata e dopo approfondita riflessione, voglio innanzitutto ringraziare il mio giovane amico per avermi, comunque, aperto gli occhi e la mente; voglio, poi, confermare che non credo di essere informato a senso unico, prova ne sono i tanti messaggi e le numerose telefonate di amici e di persone che nemmeno conosco fisicamente, con cui si sono congratulate con me per aver così apertamente affrontato un problema grave (sic) che attanaglia Ravello.

Voglio, quindi, confermare che sono oltremodo convinto di aver fatto un'azione buona e conveniente per la popolazione ravellese. Sono convinto che, se non altro, il mio articolo servirà a scuotere le coscienze di chi ha la responsabilità di questo inconveniente, e a risolverlo.

Ripeto, poi, che ho espresso liberamente le mie idee sulla questione. Soprattutto quelle idee che derivano dalle sensazioni che ogni ravellese percepisce quotidianamente nella vita del suo paese, ma che non ha il coraggio o solo la possibilità o la capacità espressiva o anche semplicemente il tempo di rendere pubbliche. Specie attraverso l'unica possibilità che abbiamo di poterlo fare: Il Vescovado.

Io non faccio ricorso ad altri pur disponibili giornali della zona. Io mi rivolgo al giornale che porta il nome della Piazza più bella che io abbia mai conosciuta: Il Vescovado.

In questo modo, sono certo che il messaggio raggiunge ogni casa, ogni famiglia, ogni singola persona. E, chi non lo gradisce, chi la pensa diversamente, può inviarmi un messaggio, di non condivisione, o di protesta, o puo' pure chiamarmi: io so prendere atto, spiegare, e anche ... cospargermi il capo di cenere.

Io sono cresciuto nella Chiesa cattolica; io sono stato allevato alla scuola della "Azione Cattolica Italiana"; io, all'età di soli sedici anni ho fondato, nella mia parrocchia, quella di Santa Maria del Lacco, l'Associazione Cattolica San Luigi Gonzaga. Io, all'età di sedici anni, nemmeno lontanamente maggiorenne (allora lo si diveniva a ventun anni), ne fui il Presidente; e la nostra divenne la GIAC più importante dell'Arcidiocesi.

Io sono cresciuto alla scuola della Religione Cristiana. E ne rispetto gl'insegnamenti. In primis, specie in pubblico, l'ottavo comandamento: «Non dire falsa testimonianza».

Io sono cresciuto, altresì, alla scuola della Rivoluzione Francese, di cui mi sento figlio, e dalla quale ho appreso, e ne faccio larghissimo uso, il principio della Libertà. Io sono un uomo libero. Io dico e pubblico le cose che vedo e che percepisco nella mia città.

Se sbaglio, me lo si dica, me lo si dimostri. Io sono pronto a scusarmi pubblicamente e con lo stesso mezzo, con chi ho eventualmente offeso. Io sono pronto a pagare, come le leggi prevedono, i miei eventuali errori.

Tutto quello che ho detto nel mio articolo, pubblicato su Il Vescovado, dal titolo "La Ribalta a Villa Rufolo, questione di fedeltà e antipatie" (solo per informazione voglio ricordare che i titoli degli articoli sono confezionati dalla Direzione del giornale), l'ho scritto perché così lo percepisco, perché così lo percepiscono la massima parte dei ravellesi, forse la totalità di essi, eccetto i più vicini ai detentori assoluti di altre verità.

Tutto quello che ho detto, a questo proposito, lo confermo. E sfido a dimostrarmene il contrario. Con qualsiasi mezzo.

Mi dispiace, e non poco, per quel che soffrono coloro che son costretti, sempre eventualmente (intelligenti pauca), a esternare le comunicazioni di altri.

Il lettore mi perdoni!

*già sindaco di Ravello

La Ribalta a Villa Rufolo, questioni di fedeltà e antipatie

 

IL DIRETTORE

Carissimo Professore,

innanzitutto permettetemi di ringraziarVi per questo Vostro gradito ritorno sulle colonne del Vescovado affrontando argomenti spinosi d'interesse pubblico. Sono oramai undici anni che da questa tribuna si cerca di raccontare la vita ravellese, denunciando, senza paura, ingiustizie e soprusi. Puntuali sono le azioni denigratorie verso il nostro lavoro da parte dei soliti noti che, lo ricordo, non rappresentano la maggioranza del paese e proprio in questo momento stanno dimostrando grosse difficoltà nella gestione della cosa pubblica.

È senza dubbio questo un momento cruciale per Ravello, per il suo futuro, in cui una classe dirigente antiquata (non soltanto per un fatto anagrafico) cerca in tutti i modi di negare strutture pubbliche a favore dell'aggregazione sociale, vista come una seria minaccia alla conservazione del potere.

In questa azione di verità e dignità siamo tutti coinvolti, perché in ballo c'è il futuro dei nostri figli. Noi andremo avanti fino alla fine, come sempre, senza paura, sapendo di contare sul Vostro autorevole contributo, sempre dalla parte del popolo, e delle tantissime persone che nel silenzio ci supportano chiedendoci di continuare nel nostro modo di fare informazione.

e.a.

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