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Lettere alla redazione

In due casi le telecamere installate non hanno registrato nulla, lasciando impuniti i responsabili.

Incidenti ai semafori di Ravello e Maiori, omissioni di soccorso e telecamere che non funzionano

Il ravellese Gino Amato racconta con amarezza la propria esperienza e denuncia il fallimento del sistema di videosorveglianza e il crescente clima di indifferenza.

Inserito da (Redazione il Vescovado Notizie), sabato 14 giugno 2025 08:57:21

 

Di Gino Amato

Leggo con dispiacere, con una punta di rassegnazione e una buona dose di indignazione, la storia del ragazzo sullo scooter travolto da una Panda mentre era fermo al semaforo in via Torricella di Maiori. Destino beffardo, il caso ha voluto che un episodio simile capitasse anche a me due giorni fa, al semaforo di via Cigliano di Ravello. Rispetto a lui, posso ritenermi fortunato: meno danni riportati, nonostante i dieci metri trascorsi rotolando sull'asfalto, e una macchina più "prestigiosa" ad avere il disonore di investirmi—non una semplice Panda, ma una Porsche. Volete mettere? Certo, di un improbabile verde "cacca di uccello," ma pur sempre una Porsche.

Due episodi, tre aspetti inquietanti in comune: la viltà, la tecnologia che dovrebbe proteggerci ma non lo fa, e l'indifferenza.

La viltà, prima di tutto. In entrambi i casi, i conducenti si sono dati vigliaccamente alla fuga, dimostrando una totale assenza di dignità e coraggio. Persone che non meritano nemmeno che si sprechi fiato per descriverle.

Poi la tecnologia, quella che ci viene venduta come infallibile, presente ovunque con le sue telecamere di ultima generazione, fieramente esibite dalle amministrazioni locali. Nulla sfugge a questi gioielli della tecnica—o almeno, nulla dovrebbe sfuggire. Grandangolo, alta risoluzione, capacità di distinguere persino "uno spillo" a centinaia di metri di distanza.

Eppure, mentre ero ancora steso sull'asfalto dopo essere stato speronato dalla Porsche per ben due volte durante la sua folle manovra di sorpasso, clamorosamente sulla mia destra, contro le più elementari regole del Codice della strada, ho guardato in alto e ho visto loro: le telecamere, immobili, alte, impassibili sulla sommità di un lungo palo accanto al semaforo. Ho provato un piccolo sollievo. "Tutto è stato registrato," mi sono detto. Una sicurezza tecnologica, un presidio a tutela del cittadino. E, lo ammetto, ho provato persino un pizzico di orgoglio per gli amministratori e la Polizia Locale, che con tanta previdenza ci hanno dotati di questi "effetti speciali".

Ma la disillusione non ha tardato ad arrivare. Il giorno dopo, quando ho chiesto di poter accedere ai filmati dell'incidente, mi è stata servita una doccia gelata: il server non funziona. Niente è stato registrato.

Mi viene spontaneo pensare che lo stesso sia accaduto per il ragazzo di Maiori, visto che ha dovuto lanciare un appello a chiunque abbia visto qualcosa del suo incidente. In pratica, dobbiamo tristemente prendere atto che questi strumenti, creati per vedere e testimoniare, non hanno né visto né conservato nulla.

Infine, l'indifferenza. Mi ha profondamente amareggiato osservare le auto che, avuto il via libera dal semaforo, sfilavano via mentre io ero ancora a terra. I miei soccorritori? Un gruppo di ragazzi e ragazze in scooter, tutti spagnoli. Proprio quei turisti giovani, "mordi e fuggi" di cui spesso sento dire che il nostro territorio non avrebbe bisogno. Eppure, sono stati loro ad aiutarmi, a insistere per starmi accanto finché non li ho convinti che potevano andare, perché un amico sarebbe presto arrivato per accompagnarmi al pronto soccorso.

E il ragazzo di Maiori? Era solo al semaforo? Possibile che nessuno abbia visto nulla?

Ora alle Amministrazioni e ai responsabili della videosorveglianza non resta che prendere atto di una realtà scomoda: il mancato funzionamento degli apparecchi ha lasciato nell'anonimato due persone che si sono macchiate del grave reato di omissione di soccorso, oltre ad aver causato incidenti che avrebbero potuto costare la vita alle vittime.

 

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