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Storia e Storie

Nuovi documenti sul culto di San Pantaleone a Ravello

Inserito da Salvatore Amato (redazionelda), martedì 25 luglio 2017 10:06:19

di Salvatore Amato

La Biblioteca Provinciale di Salerno conserva cinque volumi manoscritti, contenenti atti originali e trascrizioni appartenuti al materiale raccolto da Gaetano Mansi, lo storico scalese nato il 2 febbraio 1744 e morto il 13 dicembre 1817.

Si tratta dei volumi segnati con i numeri 103, 104, 105, 106, 107, presumibilmente conservati dallo storico amalfitano Matteo Camera e poi confluiti nel fondo Manoscritti della Biblioteca Provinciale.

Quello segnato con il numero 106, alle carte 63-72, contiene un fascicolo dal titolo ‘Attestazione per il sangue di S. Pantaleone", che raccoglie documenti originali riguardanti il culto del santo patrono di Ravello, seguito, nelle carte successive, da alcune annotazioni di mano del Mansi.

A carta 63 vi è il racconto, in volgare, degli eventi naturali verificatisi a partire da martedì 16 dicembre 1631 (nel testo del documento è indicata la data del 1632 perché l'anno civile a Ravello e nei territori dell'ex Ducato di Amalfi cominciava il primo settembre). Quel giorno, verso le 13.00, Ravello era raggiunta dalla notizia dell'eruzione del Vesuvio, conosciuto allora come Monte di Somma, al punto che alcuni cittadini ‘curiosi' si portarono sulle colline circostanti per verificare di persona cosa stesse accadendo.

L'eruzione vesuviana, secondo il racconto del testo ravellese, portò con sé terremoti, fulmini, saette e ‘parea principio del giudizio universale'. La pioggia di cenere e le scosse telluriche, che continuarono fino a notte inoltrata, indussero la popolazione ad uscire di casa e a radunarsi in Cattedrale. In quel momento si trovava a Ravello il "compatriota" P. Orazio Fenice, che dal pulpito tenne un'appassionata omelia, esortando la cittadinanza ad offrire al santo patrono una nuova cappella, ‘scarcerandolo' dall'angusto luogo - posto sull'altare maggiore - che conservava la reliquia del sangue.

Così i ravellesi, avendo sperimentato l'intercessione di San Pantaleone nell'evitare il crollo della Cattedrale, si obbligarono davanti al notaio Andrea Mandina, contribuendo alla realizzazione della nuova opera, i cui lavori iniziarono il 19 dicembre successivo.

Il secondo documento, alla carta 64, è un atto di pubblica fede scritto in latino dal Vicario Generale della Diocesi, Don Carlo Mansi, il 15 maggio 1715, attestante che il sangue di San Pantaleone, conservato in un'ampolla vitrea e collocato nella preclara cappella, ornata con marmi di diversi colori, si liquefaceva non solo il 27 luglio, ma anche nella festa della sua traslazione, la terza domenica di maggio, oppure in occasione di eventi straordinari, in tempo di peste, carestia, guerra e altre calamità. Per la prima volta, almeno fino agli studi attuali, il documento riferisce anche una antichissima tradizione, per la quale il sangue del martire sarebbe stato traslato da Nicomedia a Ravello dagli antichi componenti della famiglia Rufolo, che al momento della scrittura dell'atto non era più presente sul territorio ravellese da almeno tre secoli. Tale memoria riprendeva a grandi linee le notizie fornite nel 1714 dal canonico Lorenzo Pepe, tesoriere del Capitolo della Cattedrale, e pubblicate nel VI volume di luglio degli Acta Sanctorum.

Il documento successivo, a carta 65, è una copia di un atto di dubbia autenticità, rogato nel 1409 dal notaio Apostolico Ruggero Pappasugna, attivo in Napoli, su richiesta di un tale Mariotto Rufolo, procuratore della Cattedrale, riguardante alcuni privilegi e memorie del Vescovado di Ravello, che erano conservati in un volume in pergamena, posseduto da Giovan Antonio Marogano, nel quale era presente la notizia di un pontificale celebrato nella Cattedrale ravellese da Papa Clemente IV. Queste notizie furono copiate dal Mansi dalle informazione raccolte nel 1668 dal canonico ravellese Nicola Camera, come risulta dalla pergamena n. 78 del fondo diplomatico Mansi, acquisito dal Centro di Cultura e Storia Amalfitana.

Proseguendo nella descrizione dei documenti, le carte 66-72, con cui si chiude il fascicolo, accolgono la pubblicazione intitolata: "Ristretto istorico della vita, martirio, e morte dell'illustre giovanetto San Pantaleone, cittadino e medico della Città di Nicomedia, scritta dal M. R. P. Pietro Ribadeneira della Compagnia di Gesù, ristampato a richiesta e divozione di alcuni Civili Napoletani Deputati della Chiesa Cattedrale di esso Santo, Protettore dell'Antica Città di Ravello", stampata nel 1730 a Napoli presso Felice Mosca, il più grande tipografo napoletano del Settecento, editore di Gianbattista Vico. Il testo della vita del Santo riprende quello dell'opera devozionale Flos Sanctorum, apparsa in lingua spagnola negli anni 1599-1601 e tradotta in italiano a partire dall'edizione veneziana del 1604. L'unica variante, non di poco conto, rispetto all'edizione del 1730, sono le notizie sulla celebrazione della festa patronale del 27 luglio, giorno nel quale il sangue del santo "si intenerisce e si liquefa".

Infatti, dalle varie edizioni seicentesche del Flos Sanctorum sappiamo che nel dies natalis del Santo veniva portata processionalmente la reliquia del sangue, mentre nell'edizione napoletana del 1730 la notizia è sostituita così: "si porta processionalmente per la Città la Statua del Santo con ogni sacra Pompa, e solennità".

Nelle carte successive del volume della Biblioteca Provinciale, Gaetano Mansi, supportato da una vasta letteratura, prova a ricostruire le vicende della traslazione della reliquia del sangue, ipotizzandone la venuta a Ravello nella seconda metà del XV secolo, dopo la caduta di Costantinopoli per mano dei turchi di Maometto II. Ma anche lui, da storico avveduto e garbato, ben conscio delle difficoltà che si incontrano quando si vogliono ricostruire le origini di una vicenda complessa come quella della traslazione del sangue di San Pantaleone a Ravello, si affida alle autorevoli parole del Muratori per cui: "il mondo cristiano è pieno di reliquie, delle quali non sa addurre l'origine, né provare la verità. Basta la buona fede".

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