Tu sei qui: Storia e StorieRacconti "di-vini": quando il segreto del successo è passione e amore per il territorio
Inserito da (redazionelda), venerdì 20 settembre 2019 10:59:33
di Antonio Schiavo
Mi chiamava Piariello, per via del mio naso schiacciato, tanto simile al suo. Lui era Pio Caruso, anzi Signor Pio come i nostri genitori ci avevano insegnato ad appellarlo.
Eh sì, perché quel signore burbero ed elegante era uno degli enologi più importanti d'Italia, erede degnissimo di quel Pantaleone Caruso che, con i suoi vini era conosciuto nel mondo soprattutto in America.
Talmente noto che addirittura il tenore Enrico, all'epoca non ancora famoso, aveva usato proprio negli Stati Uniti, l'omonimia dichiarandosi parente dei Caruso di Ravello a garanzia di alcuni assegni che non riusciva a negoziare.
Crescendo, poi, Signor Pio amava spesso fermarsi a parlare con me sia di politica che del suo amore appassionato per la produzione vinicola di famiglia. Non erano quasi mai discussioni pacate, lui subito si accendeva quando non eri in sintonia con il suo pensiero che sembrava apodittico. Una volta poi mi riprese con veemenza quando io, dandomi della arie di competente (ancorchè già allora astemio totale) volli tentare nei suoi confronti una sorta di malriuscita "captatio benevolentiae" decantando tra i suoi nettari più riusciti il " Gran Caruso rosé".
Non l'avessi mai detto! A momenti mi picchiava, si alterò, gridando come un ossesso, tanto da far girare gli astanti in Piazza Vescovado: "Ma stai bestemmiando" blaterò "Il Gran Caruso non è un rosé, ma un rosa...rosa, hai capito Piariè!!".
Che meccanismo strano e meraviglioso è la memoria! Questo episodio mi è prepotentemente tornato alla mente quando ho letto che il Fiorduva di Marisa Cuomo è stato inserito tra i migliori cinquanta vini d'Italia, occupando addirittura il 39° posto, unico della nostra regione a battersi con i più famosi e celebrati nettari della nostra Penisola.
Quel è il parallelo tra due momenti così distanti nel tempo?
Quando questa estate ho avuto il privilegio di visitare con il Direttore de Il Vescovado la cantina di Marisa Cuomo ho notato nelle padrone di casa Marisa e sua figlia Dorotea la stessa passione, lo stesso amore per la nostra terra e i suoi frutti, la medesima volontà di far sempre meglio che contraddistingueva Signor Pio, il medesimo attaccamento al proprio lavoro anche quand'esso è difficile e arduo.
E' stato quasi come assistere ad un miracolo osservare i vitigni e i pergolati arrampicati su rocce degradanti verso un mare limpidissimo che faceva da scenario "fraterno" a terrazzamenti che solo l'ardire e il coraggio umano, prima che imprenditoriale, possono concepire. Una cantina incuneata nelle grotte di Furore a custodire un tesoro in mille botti sapientemente allineate per annate e tipologia.
Un confronto nacque spontaneo con le cantine della mia regione di adozione, la Toscana, che, essendo come detto astemio, mi limito a osservare con la meraviglia del neofita.
Niente da invidiare, anzi un pizzico di originalità e culto della bellezza a compendio dell'altra parte della cantina dove, per un attimo fermi, facevano bella mostra macchinari di ultimissima generazione per la sterilizzazione, l'imbottigliamento e l'etichettatura.
La mia guida, Alfonso, ne illustrava i minimi particolari e i progressi fatto negli ultimi anni per stare al passo del mercato ma soprattutto del gusto di italiani e stranieri.
Marisa Cuomo volle, con una disponibilità straordinaria raccontarci la storia del suo impegno, ci mostrò cimeli e premi ricevuti in questi anni.
Ci trasmise, inconsapevolmente, l'idea che tutto questo può nascere solo se credi fermamente nella tua forza, nel tuo carattere, nella voglia di condividere con gli altri il patrimonio di competenze e amore per i luoghi natii ereditati dai nostri padri.
>Leggi anche:
Il Fiorduva di Marisa Cuomo tra i 50 migliori vini d'Italia 2019
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