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Tu sei qui: SezioniAttualitàLa fiera dell'ipocrisia (osservazioni di uno qualunque dopo Napoli- Juventus)
Scritto da (redazionelda), sabato 20 giugno 2020 09:25:26
Ultimo aggiornamento sabato 20 giugno 2020 09:25:49
di Antonio Schiavo
Correva, mi pare, l'anno 1965, zio Roberto mi compra una bandierina azzurra con un ciuccio che sovrasta una coppa e mi porta per la prima volta al San Paolo.
Immaginate: un bambino di manco nove anni al cospetto di novantamila persone, novantamila cuori che battono all'unisono per il ritorno del Napoli in serie A. Di fronte il Torino.
Zero a zero nel primo tempo poi, nel secondo, si scatena Hitchens e fa tre a zero per i granata. La delusione è forte ma negli occhi e nel cuore rimane qualcosa di irripetibile e di meraviglioso.
Comincia così questa storia che parte, come detto, da molto lontano.
E' la storia di un bambino che diventa grande con la passione per il colore azzurro di quella bandierina, per Canè, Sivori, Altafini, Juliano, Zoff e poi Careca, Cavani, Higuain, Hamsik, Mertens, Insigne e ...poi lui: Diego Armando Maradona.
Che spende una fortuna in fischietti e raganelle per offendere sonoramente dalla curva B Paolo Rossi che quella maglia l'aveva rifiutata.
Tutta questa, forse lunga introduzione per dire che quando Milik buca per la quarta volta il portiere di quella squadra con la maglia dei galeotti e le telecamere inquadrano il volto di un Ronaldo catatonico, quel bambino diventato vecchio gode come un riccio alla prima esperienza amorosa ma si trova di fronte ad un dilemma a cui non riesce a trovare una risposta: sono giusti tutti quegli abbracci in campo e soprattutto quella follia di popolo fuori, in città?
Assembramenti e scorribande, festa di popolo mentre c'è ancora gente che muore e staziona incosciente in una terapia intensiva per un virus subdolo e non ancora annientato?
Gioia sfrenata ma senza controllo. Su questo giornale abbiamo stigmatizzato l'incontro beota di una decina di ragazzi ravellesi sotto le finestre della casa canonica: ora sarebbe incoerente derubricare quanto è successo a Napoli dopo la partita a semplice e autentico entusiasmo per la vittoria contro i sabaudi pigliatutto.
Il punto è che su questa cosa si è scatenata la fiera dell'ipocrisia di chi quelle risposte ce le ha sempre, sicuramente pre-confezionate e utili per la sempiterna campagna elettorale italica.
Il truce Salvini che non aspettava altro e, tra una ciliegia e l'altra, ha avuto un rigurgito antimeridonale dall'intimo e ha attaccato De Luca.
Quest'ultimo dal suo trono di Palazzo Santa Lucia, lui che avrebbe mandato i Carabinieri col lanciafiamme ad una festa di laurea e che avrebbe fatto arrestare i cinghialoni di leggins abbigliati per una corsetta sul lungomare, oggi scarica la responsabilità su Questura e Prefetto come un democristiano d'altri tempi.
Al Nord e pure al Centro fanno finta di dimenticare che, all'inizio della pandemia, invitavano i milanesi (quelli della movida ai Navigli ma non solo) a fare un aperitivo perché " Milano non si ferma" o a Firenze ad abbracciare un cinese e mangiare involtini primavera.
Da noi anche i drammi come quelli generati da questa maledetta epidemia si trasformano in oggetto di strumentalizzazioni talmente evidenti da diventare ignobili.
Il problema però rimane: il contrasto non solo di oggi tra passione e raziocinio, tra cuore e testa e allora ci piace concludere questa quattro righe ripetendo le parole di Marino Niola ieri su Repubblica: "In certi momenti, anche quando la passione vorrebbe altro (n.d.r.), tenere le distanze non significa assolutamente essere lontani. Né dagli occhi, né tantomeno dal cuore".
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