Tu sei qui: Lettere alla redazione«Il mio calvario all'Ospedale di Salerno»: una testimonianza diretta di malasanità
Inserito da (Admin), mercoledì 26 giugno 2024 17:37:05
In una lettera inviata alla nostra redazione, nonchè alla direzione sanitaria e a quella amministrativa dell'ASL Salerno, la signora Teresa Avallone racconta la sua drammatica esperienza presso l'Ospedale di Salerno "San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona". Dopo un incidente domestico che ha causato una frattura trimalleolare al piede, il percorso della signora Avallone è stato segnato da complicazioni mediche, infezioni e disattenzioni da parte del personale sanitario. Nonostante l'umanità e la competenza di alcuni operatori, il suo racconto evidenzia gravi carenze nel sistema ospedaliero. Di seguito, la sua storia completa.
«Egregi Signori,
Perdonatemi se Vi sottraggo del tempo prezioso, ma ritagliatene un pochino per leggere quanto accadutomi presso l'Ospedale di Salerno San Giovanni di Dio e Ruggì d'Aragona. Il giorno 2 dicembre 2023, caddi nel bagno di casa e, essendomi fratturata il malleolo del piede destro, fui portata con l'ambulanza presso il Pronto Soccorso del nosocomio sopra indicato. Si trattava di una frattura trimalleolare scomposta chiusa.
Mi fu applicato un gambaletto di gesso da tenere fino al ricovero per l'intervento. Il gesso fu applicato stretto e, di conseguenza, mi furono provocate due enormi flittene ad entrambi i lati del piede. Le flittene sono delle bolle piene di acqua, come quelle causate dalle scarpe strette. L'intervento non poté essere eseguito perché dovevano guarire le flittene, altrimenti si sarebbe potuta sviluppare un'infezione.
Mi furono applicati dei ferri che fuoriuscivano dal piede, simili a delle piccole antenne per la televisione. Dopo un mese con quello strazio al piede, sempre in precario equilibrio sull'unica gamba sana, ai primi di gennaio vengo nuovamente ricoverata per fare l'intervento "riparatore", ma questa volta contraggo lo stafilococco aureo alla ferita, per cui questa ultima, invece di guarire, stava andando in necrosi.
Solo grazie al Dottore Maurizio de Cicco, che mi vide alla prima visita di controllo presso l'ambulatorio di ortopedia all'ospedale, ho evitato esiti nefasti. Egli mi pulì la ferita, mi fece fare il tampone, tramite il quale ebbe la conferma che il batterio era lo stafilococco aureo, mi furono prescritti due tipi di antibiotici mirati, ma soprattutto mi consigliò di fare delle sedute di camera iperbarica per aiutare la ferita a guarire e ricostruire del tessuto che, insieme alla pelle mancante, avevano fatto un vero e proprio cratere sul piede.
Il reparto di vulnologia, oltre alla camera iperbarica, mi ha fatto anche delle medicazioni di tipo avanzato. È la sola cosa nuova che abbia trovato al Ruggi d'Aragona; medici ed infermieri preparati, gentilissimi ma soprattutto di una umanità unica: degli angeli. A parte questa unica nota positiva, le mie disavventure però non sono finite qui.
Nel mettere insieme le ossa del piede fratturato, mi hanno messo la tibia non allineata col perone, ragione per cui all'interno del mio piede c'è una grossa sporgenza che fa apparire il piede storto mentre in effetti è la tibia che sporge; ogni volta che mi facevano le radiografie i tecnici radiologi asserivano che la frattura si stava consolidando bene mentre invece ho un piede storpio, una ferita che è un obbrobrio ma soprattutto nel camminare ho dolore al piede e alla gamba.
Le due degenze che ho fatto sono state anch'esse un incubo: gli infermieri del reparto ortotraumatologia sono del tutto insensibili ad ogni tipo di sofferenza, chiami e vengono con molto comodo, inoltre nel reparto venivano ricoverate delle signore molto anziane, per rottura del femore la maggior parte di esse, che strillavano tutta la notte ininterrottamente nella più assoluta indifferenza degli infermieri. Di questi solo uno devo ringraziare e si chiama Roberto, ma non ne conosco il cognome. Mi lamentavo dopo il secondo intervento a causa del gesso che mi avevano messo di nuovo in quanto anche stavolta lo sentivo stretto e solo Roberto, quando cominciò il suo turno, mi dette retta e mi allargò il gesso, convenendo che mi era stato messo "un poco stretto". Un infermiere era di fronte alle mie lagnanze per il gesso che proprio non riuscivo a sopportare, disse che dovevo andare alla neurologia.
Voglio esprimere un giudizio anche sul cibo. Ultima cosa per chi si trova in ospedale ma assolutamente immangiabile; mi ricordo di un hamburger che sembrava un pezzo di carbone, duro, asciutto, rinsecchito, ma anche le altre "pietanze" non erano da meno. E anche l'acqua ci veniva data con oculatezza: solo due bottigliette da mezzo litro al giorno.
Porgo i miei ossequi augurandovi buona una salute».
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