Tu sei qui: Lettere alla redazione48º Rapporto Censis: il motore dell'Italia si è inceppato
Inserito da Raffaele Ferraioli (redazionelda), mercoledì 14 gennaio 2015 13:15:37
di Raffaele Ferraioli*
Consultare il 48º Rapporto Censis, presentato a Roma lo scorso mese di Dicembre, è quanto mai significativa e utile per capire dove va la nostra società, sia in termini economici che sociali e culturali.
Una sua lettura minimamente attenta consente di rilevare il male più subdolo generato dalla lunga, interminabile e stressante crisi economica consistente in un diffuso atteggiamento di astenia, di adattamento alla mediocrità.
Si è andato in questi anni affermando una sorta di "attendismo opaco", che rende la nostra società sempre più indistinta, sfuggente, "liquida", come l'ha definita Bauman. Tutto sembra scorrere, ma mancano i radicamenti, gli ancoraggi, le certezze.
La stanchezza, l'insicurezza, la paura del futuro sono i sintomi più evidenti e, nel contempo, più preoccupanti di epidemia galoppante.
La maggioranza degli Italiani teme di diventare povera da un momento all'altro. Si spiega così l'aumento in maniera esponenziale del risparmio, nonostante il crollo dei redditi.
Cresce la disoccupazione giovanile, esplodono le disuguaglianze, si affievoliscono le aspettative. La politica si dimostra sempre meno all'altezza di generare coesione sociale, sempre meno capace di interpretare i cambiamenti, di orientare le aspettative. In questo clima a dir poco caotico avanzano il populismo, la demagogia, l'indolenza, il cinismo, rischia di saltare la democrazia.
Ne scaturisce un profilo di una società non priva di risorse, ma incapace di valorizzarle. Un patrimonio culturale ingentissimo, che pone la nostra nazione al primo posto della graduatoria dei siti Unesco, non riesce a produrre ricchezza, perché mal gestito o non gestito affatto. La dissipazione dei talenti, fermi in parcheggio obbligato e non tradotti in energia lavorativa; in uno con la disoccupazione di otto milioni di persone sono la dimostrazione pratica di uno spreco insopportabile, che spinge Giuseppe De Rita ad affermare: "Siamo la nazione del capitale inagito, dove gli investimenti hanno toccato il livello più basso degli ultimi dieci anni e tutti sembrano aver dimenticato che solo la moneta movimentata diventa capitale e che la ricchezza è tale se circola, non se viene reificata in un'accumulazione sterile".
In questo scenario di recessione diffusa, manco a farlo apposta, fanno eccezione gli immigrati, se è vero com'è vero che le imprese con titolare extracomunitario aumentano (+31%), mentre quelli gestite da italiani diminuiscono (-10%).
Per fortuna in questo panorama piuttosto desolante il modello Italia conserva all'estero tutto il suo fascino, come dimostrato dall'export del Made in Italy, cresciuto oltre il 30% nell'ultimo quinquennio.
Dopo sette anni crisi spossante, partita inizialmente sul piano finanziario, per poi trasformarsi in una congiuntura costante, sembra sia scomparsa qualsiasi via d'uscita, qualsiasi strategia di riscatto e di superamento dell'impasse.
Si galleggia sulla mediocrità, domina il fatalismo, prevale la rassegnazione collettiva e l'emergenza diventa sempre più ingovernabile.
Il sistema finisce per allontanarsi dal cittadino, per trasformarsi in una entità quasi estranea, se non addirittura in un oggetto di rancore.
I gruppi sociali, che nel rapporto vengono definiti "mondi", tendono a separarsi, si allontanano, si chiudono in se stessi, diventano incomunicanti. De Rita ne ha contati sette, definendoli "giare":
* sindaco di Furore
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