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Storia e Storie

Quando ci hai fatto battere il corazón

Inserito da Antonio Schiavo (redazionelda), mercoledì 25 novembre 2020 18:59:48

di Antonio Schiavo

 

Partimmo in tanti da Ravello, forse dieci macchine, in una calda serata di agosto. Beh serata per modo di dire: la partita cominciava alle otto e mezza ma noi eravamo sulla tangenziale già alle quattro.

Era la sua prima partita ufficiale con la maglia azzurra, quella divisa che ci sentivamo addosso fin da piccoli, quella per la quale esultavamo (poco) e soffrivamo (tanto).

Ma stasera c'era lui: Diego Armando Maradona, il giocatore che ci veniva descritto come il più forte del mondo. Si giocava la prima di Coppa Italia, contro l'Arezzo, ma i nostri occhi sarebbero stati rivolti solo a lui, i nostri cuori avrebbero palpitato esclusivamente per il fatto che, qualche settimana prima, un concerto di clacson circa a mezzanotte ci aveva annunciato che, finalmente, lui era dei nostri.

I sociologi d'accatto, le anime belle in servizio permanente effettivo avevano subito storto il naso schizzinosamente: "Ma come, con tutti i problemi che ci sono a Napoli questi festeggiano un calciatore costato più di dieci miliardi di lire!".

Addirittura l'Avvocato, rosicando in cuor suo, aveva sdegnosamente riferito alla stampa: "Noi non siamo tanto ricchi da poterlo comprare, ma nemmeno tanto poveri da doverlo comprare per forza. (Qualcuno poi si è meravigliato sul perché i tifosi azzurri, me compreso, tifarono Argentina contro l'Italia!).

Per noi, invece, come lo scugnizzo che, quando San Gennaro fu declassato nella gerarchia dei Santi, gli avevano suggerito su un murales di fot..... "fregarsene", per noi, dicevo l'essenziale era vederlo con addosso la maglia numero 10 del Napoli e di vederlo nella prima al san Paolo.

L'uscita di Fuorigrotta era intasata, un'ora e più per fare meno di mezzo chilometro, poi altrettanto tempo per trovare un buco di parcheggio in mezzo ad una folla eccitata e festante, fra cento bagarini le cui stamperie avevano fatto nottata e un mare di bancarelle con effigi di chi poteva fare un miracolo laico fino ad allora solo sognato.

Lo stadio era una bolgia, una tavolozza di colori sugli spalti a fare da contrasto al verde limpido del campo che sembrava un tappeto su cui avrebbe poggiato i suoi piedi fatati il Pibe de Oro. Non avevo mai visto tanta gente nemmeno quando eravamo stati chiamati a raccolta per fischiare Paolo Rossi che quella maglia azzurra aveva sdegnosamente rifiutato, attratto dalle lusinghe sabaude.

Il boato che accolse l'annuncio dello speaker generò un impazzimento dei pennini dei sismografi nella zona flegrea, niente a confronto con quello avvertito ogni volta che Diego toccava il pallone.

L'incontro finì 4 a 0 per il Napoli, lui non segnò, ma cosa importava... e quando, verso il novantesimo ,quasi dalla bandierina con una rabona pennellò un cross per il centravanti , nessuno si vergognò di abbracciare il vicino di tribuna anche se sconosciuto e di piangere , con le lacrime che la felicità sa far sgorgare purtroppo solo in pochi momenti della vita.

Tornammo a casa con gli occhi che ancora ci brillavano, qualcuno propose di mangiare una pizza a Chiunzi, la maggioranza rifiutò compatta per il desiderio di raccontare quello che ci era stato concesso di vedere e vivere.

Ci ritrovammo al bar San Domingo dove mio cugino Fernando non mancò di vaticinare, con un ghigno scettico, l'ennesima bolla di sapone che sarebbe scoppiata in mano a noi tifosi napoletani. Noi lo salutammo dicendogli che il destino ci aveva riservato l'opportunità di vedere da vicino, senza bisogno di telescopi e sonde spaziali, un marziano su un prato verde tra i brutti palazzoni di una città meravigliosa e tante volte oltraggiata.

Stasera che Maradona ha perso come poche volte gli è capitato una partita importante, a noi ingenui, fanatici, felici tifosi rimasti un po' bambini ancora pieni di stupore, non resta che immaginare che quel punto luminoso così vicino alla luna non sia, come dicono gli esperti, Giove o Saturno, ma Marte che festeggia con fuochi d'artificio partenopei, il ritorno di un figlio che ci era stato solo dato in prestito.

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