Tu sei qui: Storia e StorieIl Procuratore della Giudea
Inserito da Mimmo Della Monica (redazionelda), venerdì 3 aprile 2015 10:03:22
di Mimmo Della Monica
Il procuratore della Giudea, Ponzio Pilato, quel giorno di primavera dell'anno di Roma 786, era particolarmente adirato con gli ebrei.
Arrivato da pochi giorni a Gerusalemme, proveniente dalla sua residenza ufficiale di Cesarea, doveva presiedere ai tradizionali festeggiamenti della Pasqua giudaica. Quest'ultimo era un compito che assolveva di malavoglia da sette anni, da quando era stato mandato da Tiberio a governare quella difficile regione. Mal sopportava, Pilato, quelle manifestazioni religiose che riteneva inutili e chiassose; anche quelle che si celebravano a Roma, dove era solito dileggiare i sacerdoti. Egli credeva solo in due cose: la grandezza di Roma e la sua ambizione di carriera e di successo.
Nel corso dei suoi sette anni di governo, Pilato si era più volte scontrato con gli ebrei, manifestando antipatia e disprezzo: la questione delle insegne, dell'acquedotto, degli scudi di Cesare nel Pretorio. Ma alla fine i rimproveri di Tiberio lo avevano indotto a cedere, contribuendo a peggiorare le sue relazioni con quei sudditi i quali non perdevano occasione per fargli pesare i limiti dei suoi poteri.
Uomo difficile, Pilato non poteva ammettere che la maestà di Roma dovesse piegarsi ad ogni occasione agli stravaganti usi giudaici.
Probabilmente malediceva il giorno in cui Pompeo aveva risposto alla richiesta di aiuto di quel popolo; probabilmente malediceva il giorno in cui Tiberio lo aveva spedito in quella regione.
Pilato ha un diavolo per capello. E' appena arrivato e già i sacerdoti del Sinedrio gli hanno rifilato un caso apparentemente semplice all'inizio, ma che ben presto si è rivelato una grossa gatta da pelare. Si sente preso in trappola, come schiacciato da un problema più grande di lui.
Prova simpatia per quel giovane falegname di nome Gesù, dal portamento austero; lo ritiene innocente, il presunto delitto non riguarda la giustizia di Roma perchè il prigioniero pensa ad un regno religioso. Ma se egli libera quel giovane e gli ebrei protesteranno ancora, è certo che riceverà l'ennesimo rimprovero da Tiberio, e questa volta potrebbe essere decisivo per la fine della sua carriera. Ma non dispera, farà di tutto per salvare quel giovane falegname. E poi c'è Claudia, sua moglie: giorni prima, accompagnata dal fedele centurione Flavio, ha avuto modo di ascoltare la parola di quel giovane: in piedi, sul crinale di una collina, tra una moltitudine lì giunta da ogni parte della Giudea e oltre, c'era gente venuta anche da Sidone e Tiro, quel giovane aveva pronunciato parole mai ascoltate prima. Ne era rimasta colpita, turbata, affascinata. Da molte ore è ossessionata da un sogno fatto la notte precedente, e lo supplica continuamente di liberare quel giovane.
In attesa del prigioniero, Pilato dall'alto della Torre Antonia guarda le strette vie adiacenti intasate di gente e percorse da un brusìo ininterrotto, sovrastato dai richiami dei venditori d'acqua e dai belati delle greggi spinte verso il tempio.
E' comparso il vento: insieme ad una polvere sottile solleva gli aromi dell'incenso e dei cibi delle cucine all'aperto. Nubi nere e gravide di pioggia, a ondate, divorano i brevi squarci di sereno.
Finalmente arriva il prigioniero. Adesso il procuratore lo guarda attentamente. Ciò che più lo colpisce è il portamento di quel giovane, percosso e sanguinante. Non parla, non si lamenta, non si ribella.
Adesso si odono le urla della folla ammassata alla porta del Pretorio e aizzata dai Sinedriti: "A morte! A morte!"
Pilato fa cenno al prigioniero di seguirlo ed esce; con la mano alzata fa cenno alla folla di tacere. Un gelido silenzio scende sul Pretorio. Gli sguardi di tutti sono appuntati sul procuratore, ansiosi di conoscere il verdetto.
"Per me quest'uomo non ha nessuna colpa. E' innocente."
Dalla piazza si leva un unico, lacerante urlo: "Crocifiggilo!" E subito dopo un boato di grida ostili e implicite minacce : "Se lo liberi non sei amico di Cesare!"
Quest'ultimo grido ha su Pilato l'effetto di una scudisciata.
Gli ebrei hanno colto nel segno: il procuratore per un attimo rivede gli episodi delle insegne, dell'acquedotto, degli scudi di Cesare nel Pretorio.
Se non condanna quel giovane, Tiberio, pressato dalle proteste degli ebrei, troncherà definitivamente la sua carriera. E si arrende.
Ma non vuole rinunciare ad un'ultima sfida. Il volto tirato, Pilato ordina che gli vengano portati una brocca d'acqua, un catino e un panno di lino.
Poi, scandendo lentamente le parole: "Mi lavo le mani del sangue di questo giusto. Sono affari vostri."
Un urlo rabbioso lacera l'aria: "Il suo sangue ricada su di noi e su i nostri figli!"
E' la fine. Pallido in volto, Pilato ordina di portare via il prigioniero.
Poco dopo, dall'alto della fortezza segue il corteo che si dirige verso il Golgota.
Un misto di rabbia e impotenza scuote il suo animo. E' talmente assorto che non si avvede della presenza della moglie. La voce di Claudia è tagliente :"Hai fatto male a cedere ancora una volta. E' stata commessa un'atroce ingiustizia."
La fronte solcata da rughe, pallido, Pilato ha un breve sussulto: "Taci. Non avevo scelta. Non pensi alla mia carriera? E poi, vedrai, tra qualche giorno nessuno si ricorderà più di quel giovane falegname."
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