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Storia e Storie

I vini della Costa d'Amalfi e la tutela della loro storica identità

Inserito da Raffaele Ferraioli (redazionelda), domenica 1 febbraio 2015 18:44:33

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di Raffaele Ferraioli*

Parlare di vino non è facile. Si corrono troppi rischi: non dire abbastanza per soddisfare le esigenze degli addetti ai lavori, non fornire adeguate spiegazioni ai profani, scivolare nell'aneddotica e nell'agiografia, urtare la suscettibilità dei bastian contrari. Ma non si può tacere, deludendo, così, l'intenditore vero, entusiasta, saggio, sempre a caccia di scoperte. Ecco perché bisogna evitare i luoghi comuni, la banalizzazione. Dire pane al pane e, manco a farlo a posta, vino al vino!

Partendo da questa premessa, veniamo al dunque. In questi ultimi anni la Costa d'Amalfi è tornata ad essere una terra vinosa di antico lignaggio quale storicamente è sempre stata. La sua enostoria, come ogni favola bella, viene da lontano, ha radici antiche, intrecciata in una trama infinita. E' difficile svelarne i misteri, comprendere fino in fondo i contorni di questa leggenda. Secondo alcuni studiosi la coltivazione della vite sulle balze collinari nostre e di tutto il meridione d'Italia è iniziata molto prima dei Greci. Viene, infatti, attribuito ad Enotrio il merito di aver trasferito qui da noi i primi vitigni provenienti dall'Egeo. L'arte nobilissima di scegliere il vitigno in relazione al tipo di terreno in cui impiantarlo sarebbe stata affinata più tardi da Columella. Da qui il segreto dei grandi vini nostri, figli dell'uvaggio, ossia della miscela di uve diverse provenienti da vigneti diversi. Queste splendide combinazioni riportano ancora oggi nel bicchiere un po' di passato.

"Assemblare un uvaggio è come comporre una sinfonia", afferma Arturo Ziliani, famoso enologo veneto. Produrre vino da un insieme di uve mescolate sapientemente significa accedere ai vantaggi offerti dalle diverse varietà, provenienti dai diversi ambienti e dai differenti vitigni. Questa pratica consente di evitare monologhi e innescare dialoghi, dando sfogo alla creatività e alla fantasia. In questa maniera è possibile dare al vino la "voce" giusta, evitare gli "assoli" deboli, ascoltare solo "cori" potenti e melodiosi. Questi connubi per certi aspetti misteriosi, danno vita a grandi vini: morbidi o ruvidi, corposi o leggeri, armoniosi o scorbutici, tondi o spigolosi, "di sangue caldo", "complici di lussurie". Ecco perché il suono perfetto di un vino può e deve scaturire da un concerto di voci che da sole non avrebbero la stessa melodiosa sonorità. Da simili incroci può essere generato finanche quel vino "femmina, da godere fino a perderci la testa", tanto amato dal grande Veronelli.

Vinificare mescolanze di uve provenienti da vitigni stratificatisi nel corso dei secoli, setacciati dall'uomo, che ne sa ascoltare i discorsi più segreti, significa creare vini che esprimono il meglio, realizzare prodotti che la natura da sola non riuscirebbe a dare. Altro che vinificazione in purezza!

"Contro natura invan l'arte si adopra", viene a questo punto da esclamare di fronte a certe pratiche cosiddette innovative. Abbiamo impiegato parecchi anni per convincere prima noi stessi e poi gli altri della bontà dei nostri vini. Siamo ripartiti nel 1995, dopo aver ottenuto il riconoscimento della D.O.C. e abbiamo rispolverato la nostra nobiltà enologica, riscoprendo il valore del nostro prezioso patrimonio ampelografico. Siamo stati protagonisti di una vera e propria rinascita, riuscendo a spazzare via empirismi e improvvisazioni, mediocrità e facilonerie per riaffermare i valori di un'antica cultura, autentica, esclusiva, identitaria. Abbiamo saputo offrire agli appassionati intenditori l'anima sconosciuta dei nostri vini, nobili, eleganti, rappresentativi della nostra arte di vivere. Siamo riusciti a puntare sulla qualità e sull'eccellenza, comprendendo e facendo comprendere agli altri che il vino non è una semplice bevanda, ma un'emozione, un piacere ricercato. Oggi siamo chiamati a fare ulteriori sforzi per non vanificare i traguardi fin qui conquistati. Dobbiamo avere la forza di dire no alle finte innovazioni; rinunciare agli egoismi quantitativi; salvaguardare la nostra secolare selezione ampelografa, ricevuta in ereditata dai nostri avi; mantenere i vitigni giusti nei vigneti giusti. Un impegno forte dobbiamo spenderlo, in particolare, nel difendere la sacralità dell'uvaggio e nel rinunciare all'allargamento della gamma dei vini prodotti e con esso all'invenzione di tipi assolutamente estranei alla nostra tradizione più autentica.

Alla luce di queste considerazioni, mi permetto di ritenere a dir poco improvvide le modifiche recentemente apportate al Disciplinare di Produzione della D.O.C., peraltro assunte unilateralmente dai produttori, in assenza del parere delle Amministrazioni Comunali territorialmente interessate. Vinificazione in purezza, bollicine e altri scimmiottamenti non hanno nulla a che fare, secondo il mio modesto avviso, con la nostra tradizione storicamente consolidata e, per questo, vanno messi al bando.

Liberi di non condividere queste mie idee, coloro che la pensano diversamente sono pregati di... battere un colpo. Prosit!

*sindaco di Furore, esperto di enogastronomia e cultore delle tradizioni locali

 

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