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Scritto da Antonio Schiavo (redazionelda), domenica 11 luglio 2021 13:06:57
Ultimo aggiornamento domenica 11 luglio 2021 13:11:09
di Antonio Schiavo
Mi ha dato del "voi" anche l'ultima volta che ci siamo visti, forse maggio.
"Dovrei essere io a darti del voi" gli dicevo da sempre, da quando una mattina comparve quell'insegna in Piazza Vescovado che portava a Ravello arte, bellezza, maestria.
Giorgio Filocamo era fatto così, quel "voi" non era alterigia o volontà di mantenere le distanze, ma il più profondo e autentico senso del rispetto per chi entrava nella sua bottega, sì proprio bottega di alto artigianato che si faceva meraviglia nelle sue mani sapienti.
Gli avventori per lui non erano solo clienti, ma possibili estimatori di un'arte antica, quella della lavorazione del corallo e dei camei, a cui illustrare i passaggi, le caratteristiche, in fin dei conti la storia.
E ne uscivi affascinato, attratto da quella maestria e non solo, ma anche dalla profonda cultura di chi ti aveva intrattenuto con passione pensando solo marginalmente (in certi casi, per nulla) al ritorno economico.
Io mi soffermavo sovente, da modesto collezionista su due opere superbe che rendevano quasi vivo ed attuale un grande presepio curato nei più piccoli e preziosi dettagli.
Di Giorgio ho un ricordo particolare, emblematico del suo altruismo e della sua lungimiranza di cui, se non erro, ho già parlato in un vecchio mio pezzettino ma che mi piace comunque condividere ancora con i lettori.
In occasione del primo Premio Giornalistico Ravello, voluto da Don Peppino Imperato Senior, a me che ero l'organizzatore toccò l'ingrato compito di far quadrare la pianificazione dell'evento con le limitate risorse economiche messe a disposizione dal Parroco.
Due furono i ravellesi - perché Giorgio era un ravellese autentico - a venirmi incontro in maniera assolutamente disinteressata e gratuita: Franco Fortunato che curò la grafica dei manifesti e delle locandine e Giorgio che mise a disposizione per i premiati una stupenda penna in lamina d'oro e corallo realizzata per l'occasione.
Uno dei vincitori non si presentò alla premiazione e io pensai che fosse giusto restituire il manufatto all'artista che mi disse, con la solita affabilità, cifra nobile della sua esistenza, che potevo tenerla come apprezzamento per l'impegno profuso per Ravello e la sua connotazione di centro culturale della Campania tutta.
Mi ha colto di sorpresa la triste notizia. E' vero, negli ultimi tempi, almeno nelle poche volte che sono tornato a Ravello, lo avevo visto un po' più taciturno, probabilmente preoccupato. Avevo addebitato il tutto al tempo di ansia e dolore legato alla pandemia che ha colpito forse più nell'animo che nel corpo.
Il suo fisico, sempre più curvo per gli anni e per la fatica su oggetti microscopici che solo i suoi occhi avvezzi sapevano modellare e rendere pezzi unici, assomigliava sempre più a quel Cristo perennemente esposto nella vetrina esterna e che oggi sicuramente lo avrà accolto chiedendogli se, in Paradiso, può rimettersi al banco da lavoro e realizzare per sua Madre qualcosa di stupefacente, simile o ancor più bello alle dodici stelle che le coronano il capo.
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