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Racconti d'aMare

Il racconto autentico di un drammatico soccorso in mare

Una chiamata nel buio: il naufragio della Telivka raccontato dal comandante Barra

Il Capitano Superiore di Lungo Corso Salvatore Barra, di Amalfi, ripercorre con lucidità e commozione gli eventi del 9 marzo 2006, quando rispose alla richiesta di soccorso lanciata dalla nave Telivka in piena burrasca, al largo del Mar Rosso. Una testimonianza potente, che rende onore al coraggio dei marinai e rilancia il valore della memoria per chi, nel mare, ha dato tutto.

Inserito da (Redazione il Vescovado Notizie), mercoledì 21 maggio 2025 16:30:24

Di Salvatore Barra, Capitano Superiore di Lungo Corso

M/N - TELIVKA
CRONACA DI UN NAUFRAGIO

Giovedì 9 MARZO 2006 ore 00.43. L'allarme automatico di soccorso della stazione radio GMDSS ruppe il silenzio di quella notte buia e burrascosa. Un attimo di angoscia attraversò il mio animo.
Mi rivolsi al Secondo Ufficiale, di guardia in plancia in quel momento: "È una richiesta di soccorso. Sarà attendibile?" - chiesi.
"Verifico subito" - rispose l'Ufficiale - ma non ci fu il tempo. Dopo pochi istanti ricevemmo un nuovo messaggio di soccorso, questa volta direttamente dalla radio VHF della nave in difficoltà. Era un uomo, con tonalità di voce drammatica e disperata:

"Mayday - Mayday - Mayday - Qui è la Moto Nave Telivka - 9HGT3 - (Nominativo internazionale) Bandiera Maltese - in posizione Latitudine 32 20' Nord Longitudine 031 37 Est. Siamo in 15, tutti ucraini - Stiamo affondando - Veniteci a salvare - fate presto." Dopo non ricevemmo altre richieste di soccorso.
"Sono a 16.5 miglia dalla nostra posizione" - esclama, concitato, il Secondo Ufficiale. Erano le ore 00.45 (GMT +3).

La MSC Vanessa, nave portacontainers - 300 metri lunga, 40 metri larga, 6732 Teus di capacità, a quei tempi una delle più grandi, era partita da Singapore il 27 febbraio 2006, diretta al porto greco del Pireo. Dopo aver attraversato il trafficatissimo stretto della Malacca, proseguimmo la navigazione nell'Oceano Indiano del Nord puntando verso Capo Dondra, estremità meridionale dello Sri Lanka.
L'Oceano Indiano era calmissimo, l'acqua del mare liscia come l'olio. Questa condizione, tuttavia, avrebbe potuto favorire eventuali attacchi di pirateria, molto frequenti in quegli anni. Dopo lo Sri Lanka, navigando verso nord-ovest, attraversammo l'arcipelago delle Maldive per poi dirigerci verso l'isola di Socotra, Golfo di Aden, stretto di Bab el-Mandeb, "porta" meridionale del Mar Rosso. Proseguimmo la navigazione verso il Canale di Suez.

Giunti a poche ore di navigazione da Suez, in prossimità della penisola del Sinai, si alzò improvvisamente un vento impetuoso da nord, con raffiche di 25/30 nodi, arrecando disagio alle unità di modeste dimensioni. Dalla costa si notavano nuvole di sabbia del deserto.

Le navi che arrivavano nella baia di Suez (o a Port Said, sponda Mediterraneo) attendevano all'ancora la formazione del convoglio. A ogni nave veniva assegnato il numero del convoglio, in base al tipo di nave e all'orario di arrivo, e l'orario di inizio del transito del Canale.

Il giorno precedente il Canale era stato chiuso al traffico per motivi di sicurezza, a causa del forte vento che aveva generato tempeste di sabbia limitandone la visibilità lungo il percorso. Conseguentemente, il mattino dell'8 marzo 2006, al momento dell'inizio transito, il numero delle navi era praticamente raddoppiato: circa 80 navi nei due sensi di marcia, da e per il Mediterraneo. L'eccessivo numero di navi in transito, quel giorno, comportò un ritardo di circa sei ore rispetto al solito.

Verso le ore 21 uscimmo dal Canale e ci mettemmo in rotta, con macchina "Avanti Tutta" per il Pireo, per recuperare il ritardo accumulato. Ma le condizioni meteo-marine, confermando le previsioni, si rivelarono sin da subito pessime, tendenti al peggioramento. Il vento e il mare burrascosi da nord-ovest formavano onde alte quattro/cinque metri e provocavano forti movimenti di beccheggio e intense vibrazioni allo scafo. I colpi di mare frangevano in coperta, sulle boccaporte e sui containers. Si rese necessario proseguire a velocità ridotta per evitare possibili danni alla nave e al carico.

Rimasi tutto il tempo in plancia, per seguire direttamente l'evolversi e gli sviluppi della burrasca in atto. La notte si presentava buia e tetra, illuminata a tratti dalle scariche elettriche dei fulmini, seguiti dal cupo boato dei tuoni. Abbandonai la rotta tracciata inizialmente, per seguire direzioni più sicure. Ridussi ulteriormente i giri dell'elica. Alle 00.45 ricevemmo il Mayday dalla Telivka.
Il "Mayday" è un segnale di soccorso radio che si inoltra quando vi è un ragionevole pericolo di perdere la nave.

Individuammo il "bersaglio" sullo schermo radar. "Non c'è tempo da perdere! - Macchina avanti tutta - Timone 20 gradi a dritta - chiamare Posto di Manovra generale - Avvisare il Direttore di Macchina - Dirigiamo sul punto indicato." Ordini brevi, chiari e concisi - immediatamente eseguiti in rapida successione.

In quel momento il vento burrascoso spirava da nord-ovest a una velocità di 35 nodi con raffiche di 45 nodi. Pioggia battente. Onde del mare alte mediamente 4 metri. Serata da incubo. Il "target" della Telivka era ben visibile al radar.

Delle oltre 50 navi presenti in zona, solo due risposero alla richiesta di soccorso e decisero di partecipare alle operazioni SAR (Ricerca e Salvataggio - Search And Rescue). Si trattava della nave portamacchine "Hyundai 205" 3EXT8 e della petroliera "Makronissos" SWAM.

Il Comandante di una terza nave, italiano su nave battente bandiera italiana, mi chiese: "C'è bisogno anche del nostro aiuto o ce la fate da soli?"
Stizzito - risposi, contrariamente alle sue aspettative: "Io ci sto andando perché sono un marinaio ed ho una coscienza, Lei faccia i conti con la sua coscienza!" - Non ebbi risposta. La sagoma della nave, una carboniera di cui preferisco non fare il nome, si confuse nel nubifragio che stava arrivando e sparì dalla nostra visuale.

Verso le ore 01.00 - Riunii sul ponte di comando: i tre Ufficiali di Coperta, il Direttore di Macchina, il Primo Ufficiale di Macchina ed il Nostromo. Studiammo una strategia da seguire per le ricerche. Formammo tre squadre di vedette da impiegare sul ponte di coperta, capitanate dal Primo Ufficiale di Macchina, dal Secondo Ufficiale di Coperta e dal Terzo Ufficiale di Coperta - munite di radio VHF e torce ed in costante contatto radio tra loro e con il ponte di comando, che avrebbe coordinato le operazioni. Il Primo Ufficiale di Coperta e due marinai assistevano il Comandante in plancia.

Come da regolamento internazionale, la nave che arrivava per prima sul luogo del naufragio avrebbe assunto il comando delle operazioni. Per cui le due navi che avevano dato disponibilità ci contattarono via VHF radio e si resero disponibili ai nostri ordini.

Verso le 01.45 - giunti a circa tre miglia di distanza - il bersaglio della Telivka scompare dagli schermi radar. La nave era affondata. Avvisammo le squadre in coperta e le due navi, in un clima di imbarazzante silenzio. Dopo una ventina di minuti arrivammo in prossimità del luogo del naufragio. Contattammo la stazione SAR - JRCC Il Cairo ed Alexandria Radio - cui trasmettemmo tutti i dettagli delle operazioni in corso.

Nel buio della notte e con la pioggia battente, la visibilità era scarsissima. Dal mare sottostante arrivava l'odore nauseante ed acre di un'estesa chiazza di gasolio, proveniente dalla nave affondata, irritando i nostri occhi, già bagnati dalla pioggia, unti di lacrime ed intrisi di sudore. Scrutavamo la superficie del mare per mezzo di potenti proiettori: containers alla deriva emergevano dall'oscurità, così come una zattera e una scialuppa di salvataggio, entrambe vuote, innumerevoli oggetti, suppellettili ed altri materiali che appartenevano alla nave scomparsa.

Alle 02.30 - stabilimmo e comunicammo alle due navi soccorritrici uno schema a settori geografici per agevolare le ricerche, come da manuale MER-SAR (Merchant Ship Search And Rescue).

Verso le ore 03.15 la squadra, guidata dal Primo Macchinista, impegnata nelle ricerche sul lato sinistro, mi segnalò l'avvistamento di una zattera autogonfiabile di salvataggio e di aver udito delle grida - poi niente. Il Primo Ufficiale di Coperta che mi assisteva in plancia informò immediatamente dell'avvistamento le altre due navi. Alle 03.30 la nave Hyundai 205 ci comunicò che aveva individuato la posizione della zattera con sei persone a bordo; di averne recuperato tre vivi e che era in procinto di salvare gli altri tre. Informammo JRCC Il Cairo e Radio Alexandria - più tardi la Hyundai 205 ci informò che il tentativo di salvataggio dei rimanenti tre naufraghi era fallito e di aver perso il contatto con la zattera a causa del forte vento. Lo sgomento ci assalì.

Alle 05.30 - ai primi chiarori di quella maledetta alba del 9 marzo 2006, chiedemmo a JRCC Il Cairo e a Radio Alexandria d'Egitto un supporto aereo, che ci fu immediatamente accordato, a chiacchiere però, perché di aerei ed altri mezzi non se ne videro.

Alle ore 08.30 JRCC Il Cairo ci dispensò dalle operazioni SAR e riprendemmo la navigazione per il Pireo.

Con la luce del giorno, le condizioni meteo-marine peggiorarono ulteriormente. L'anemometro, ora, indicava la velocità del vento di 45 nodi - e le onde arrivavano a sei metri di altezza. Procedevamo con la minima andatura. In serata il vento e il mare cominciarono a calare d'intensità - giunti in prossimità dell'isola di Creta, la furia del mare si placò. Rimettemmo la macchina a tutta forza ed aggiornammo l'ora di arrivo al porto del Pireo. Avevamo accumulato, per cattivo tempo e soccorso, un ritardo di due giorni.

L'operazione di salvataggio impegnò per tutta la notte tutti i 23 uomini del nostro equipaggio. Il cuoco ed il cameriere di bordo furono allertati per accogliere e rifocillare eventuali naufraghi. Le proibitive condizioni meteo-marine non ci consentirono di calare in mare le nostre scialuppe di salvataggio. Alla fine, sui volti dei miei uomini, sferzati dalla pioggia violenta e stremati dalla stanchezza, la commozione era evidente.

Durante le fasi del soccorso, oltre alle stazioni JRCC Il Cairo e Radio Alexandria, fummo contattati dall'armatore, dagli assicuratori e dai legali della nave in difficoltà, cui riferimmo tutte le informazioni richieste, assicurando loro il massimo impegno nelle operazioni.

Una brutta storia che rimarrà per sempre impressa nella mia vita. Encomiabili furono lo spirito marinaresco, la professionalità, i valori etici dimostrati ed i sacrifici resi dall'intero equipaggio, nel corso di quella lunga notte.

La nave portacontainers Telivka - 97.8 metri di lunghezza, 17.3 metri di larghezza, 200 Teus di portata - si inabissò in quella notte tragica; aveva un equipaggio di 15 persone di nazionalità ucraina - di essi solo tre furono tratti in salvo. In seguito, di quella storia, delle cause che portarono quella nave alla perdita totale e della successiva inchiesta, non abbiamo saputo più niente.

Ho fatto una grande fatica a ricordare, scrivere e condividere questa storia. Il mare è un elemento insidioso e pericoloso e, in quanto tale, deve essere amato, conosciuto, rispettato e temuto; va affrontato e non combattuto. Tuttavia, la perizia, l'abilità e la buona pratica marinaresca non servono se non si è accompagnati dalla fortuna. Questo vale per tutti: dal bagnante al pescatore; dal subacqueo al diportista; dalla conduzione di piccole imbarcazioni al comando di grandi navi.

Le navi della Repubblica Amalfitana, nel Medioevo, sovente si spingevano nel Mar Mediterraneo Orientale per raggiungere e scambiare mercanzie (e civiltà) con i porti che si trovavano in prossimità del luogo ove avvenne la tragedia della nave Telivka, descritta sopra.
Gli Amalfitani del tempo, oltre ad essere abili navigatori, erano scaltri e maestri della diplomazia. Scambiavano mercanzie e non solo. Carpivano, importavano e implementavano la cultura delle altre civiltà.

La bussola magnetica, le Tavole Amalfitane, la fabbricazione della carta, il tarì, il corpo dell'Apostolo Andrea, la cantieristica navale, l'architettura di case e monumenti, ne sono un esempio.

Grazie ai naviganti amalfitani ed a chi li governava, Amalfi divenne un "faro" di civiltà, punto di riferimento per gli stati che si affacciavano sul Mediterraneo, in particolare con il Medio Oriente.

Si dice che nel Medioevo ad Amalfi vi fossero oltre 100, tra chiese ed edicole votive, fatte costruire come ex voto dai marinai scampati alle tempeste con le loro navi. Alcune di esse fatte realizzare in appartamenti privati. Così in molte chiese della Costiera Amalfitana - Conca dei Marini, Positano, Maiori - sono esposti quadri o monili ex voto. In particolare nella Penisola Sorrentina ed a Torre del Greco, terre di naviganti.

Ed i marinai che perirono naufragando con le loro navi? Di quest'ultimi non ho mai sentito parlare né avuto informazioni: per quanto ne sappia, sono stati praticamente dimenticati.

Nel Medioevo non esistevano telefoni o altri mezzi di comunicazione. Provo ad immaginare lo strazio delle famiglie dei marinai del tempo, che vivevano nell'attesa e nella speranza del ritorno dei propri cari.

Per quanto sopra, mi farebbe piacere se si realizzasse ad Amalfi un monumento a ricordo di tutti i marinai che fecero parte degli equipaggi delle navi dell'antica Repubblica. Da dedicare soprattutto a tutti quelli che non riuscirono a ritornare in patria, vittime di naufragi, pirateria o incidenti, il cui sacrificio contribuì a rendere grande la nostra terra.

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