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Racconti d'aMare

Dalla Costa d’Amalfi a Singapore, passando per il Madagascar, la storia di un legame più forte della distanza

Il Comandante Salvatore Barra si racconta: «Tra onde e sacrifici, la mia famiglia è sempre il porto più sicuro»

Dopo quattro mesi in mare, il Capitano Superiore di Lungo Corso Salvatore Barra di Amalfi riabbraccia la sua famiglia a Gioia Tauro. Un racconto intenso e sincero che ripercorre le tappe di una scelta coraggiosa nata nel 1992 a bordo di una nave e trasformata, con incoscienza e determinazione, in una vita condivisa tra sacrifici, distanze e amore autentico.

Inserito da (Redazione il Vescovado Notizie), giovedì 19 giugno 2025 13:56:25

Di Salvatore Barra, Capitano Superiore di Lungo Corso

 

Una Storia d'Amore in Racconti D'Amare


Giugno 2025 - L'incontro con la mia famiglia sulla MSC Celestino Maresca

La MSC Celestino Maresca approda nel porto di Gioia Tauro, il più grande terminal container d'Italia. Dopo quattro lunghi mesi trascorsi in mare, finalmente la mia famiglia mi raggiunge: mia moglie Didine, Giuseppe, Vivienne - fresca di laurea - e Angelo.
Non vi nascondo che, accanto alla felicità immensa del momento, provo anche un senso di invidia per tutte quelle famiglie che vivono quotidianamente il loro rapporto. Per noi marittimi, il ricongiungimento familiare è sempre un evento, anche quando semplicemente rientriamo a casa.
Tuttavia, per onestà, va detto che il picco di felicità che si raggiunge in questi momenti è qualcosa di raro, difficilmente replicabile dalle famiglie "normali". Ritrovarsi dopo più di quattro mesi è un'esperienza straordinaria, fatta di racconti, abbracci e silenzi, carica di tutte le cose belle e meno belle accadute nel frattempo.
Quando decidemmo di sposarci, nel lontano 1992, avevamo messo in conto le difficoltà, certi ostacoli e situazioni complesse. Mai, però, avremmo immaginato ce ne fossero così tante, alcune perfino impossibili da prevedere. Forse fummo salvati proprio dall'incoscienza della nostra scelta. Se ci fossimo fermati a riflettere un po' di più, probabilmente non ci saremmo lanciati in quell'avventura.
"Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare" (Seneca): e questo era il mio caso. E noi, almeno all'inizio, ci mettemmo in cammino senza valutare dettagliatamente tutte le sfide che ci attendevano. Tante dovute alla poca esperienza, altre alla scarsa conoscenza di leggi e realtà che avremmo dovuto affrontare.
Ripenso spesso a tutto questo. Anzi, ci penso ogni volta che incrocio lo sguardo dei miei figli - venuti al mondo per una scelta d'amore, ma anche di incoscienza. Perché l'amore, quello vero, è sempre un po' in contrasto con la ragione. L'amore è, in fondo, anche incoscienza.

 

1992 - Le radici di una scelta coraggiosa

Nel 1992, la mia vita prese una piega inaspettata e meravigliosa. In quell'anno incontrai colei che sarebbe diventata mia moglie. Lavorava come stewardess a bordo della MSC Alexandra, dove io ero imbarcato con il grado di Primo Ufficiale di Coperta.
La nostra relazione nacque in modo del tutto casuale e, inizialmente, sarebbe dovuta durare solo per il breve periodo del nostro contratto di lavoro. Un'avventura passeggera tra due giovani uniti dal mare e dal caso.
Nel maggio dello stesso anno, dopo pochi mesi di conoscenza intensa e carica di emozioni, accadde l'imprevisto: Didine, prossima allo sbarco, stava per lasciare la nave nel porto sudafricano di Durban. Proprio lì, il 23 maggio 1992 - uno dei giorni più tristi della recente storia italiana, segnato dall'attentato al giudice Giovanni Falcone - trovai il coraggio di chiederle di sposarmi.
Lei mi rispose con una domanda, semplice ma piena di consapevolezza:
"Come facciamo?"
E io, senza esitazione, le dissi:
"C'è un solo modo: pensare il meno possibile e affrontare i problemi uno per volta, man mano che si presentano."
Quella proposta di matrimonio, fatta con il cuore e un pizzico di incoscienza, non fu però seguita da una riflessione lucida sulle conseguenze familiari.
In effetti, non avevo detto nulla ai miei genitori. Non li avevo preparati, né avevo chiesto consiglio. Semplicemente, avevo deciso.
Un giorno, al telefono con mio padre, gli dissi con una frase che oggi mi fa sorridere:
"Papà... Didine è una ragazza un po' scuretta."
Non sapevo come avrebbe reagito. Invece, con la semplicità e la saggezza che spesso solo i genitori veri hanno, non fece una piega.
Mi rispose con voce calma e ferma:
"La devi sposare tu, non io."
Non aggiunse altro. Quella frase fu più di un'approvazione: fu un segno di fiducia.
Poi gli chiesi un favore molto concreto: di aiutarmi a trovare un appartamento ad Amalfi o nei dintorni, per iniziare insieme quella nuova vita che stava prendendo forma, tra dubbi, ostacoli e sogni troppo grandi per essere fermati.
E così fece.
Con discrezione e senso pratico, mio padre riuscì a trovare un appartamento nel borgo costiero di Furore, situato nella parte collinare della Costiera Amalfitana, non lontano da Amalfi.
Un luogo semplice, ma pieno di pace, affacciato sul mare, quasi a voler benedire l'inizio del nostro cammino insieme.
Successivamente, nel mese di luglio 1992, sbarcai dalla nave e tornai ad Amalfi.
Fu solo allora che mi resi davvero conto di quanto fosse difficile rimanere in contatto con Didine. La distanza, le difficoltà logistiche, l'assenza di comunicazioni dirette - tutto sembrava remare contro.
Mi misi subito al lavoro per organizzare il suo viaggio in Italia, affrontando, uno dopo l'altro, tutti gli ostacoli burocratici e pratici che si presentavano.
E ce n'erano tanti.
Per fortuna, potei contare sull'aiuto concreto e generoso di diversi operatori della MSC, che mi supportarono passo dopo passo, dimostrando non solo competenza, ma anche umanità.
Grazie a loro, ogni difficoltà superata diventava un piccolo passo avanti verso quel sogno che avevamo deciso di inseguire insieme.

La distanza era già di per sé un ostacolo enorme: io italiano, lei malgascia. Le differenze culturali e linguistiche complicavano la comunicazione quotidiana. Inoltre, la situazione politica instabile del Madagascar in quegli anni rendeva estremamente difficile ottenere i documenti e i visti necessari per espatriare.
Superammo difficoltà burocratiche, paure e ostacoli. Le nostre comunicazioni si basavano su telefonate settimanali, ogni lunedì, effettuate dal Direttore del personale della MSC, il quale comunicava con Erminio, il suo fiduciario (italiano), sfruttando il telefono satellitare di una nave ormeggiata nel porto di Tamatave. Quella chiamata settimanale era l'unico filo che ci teneva uniti a distanza.

 

L'arrivo in Italia

Finalmente, dopo giorni di attesa e preparativi, il 1° settembre 1992, Didine riuscì a partire per l'Italia, con viaggio organizzato dalla MSC. Ma, come spesso accade nelle storie più intense, l'ostacolo più grande arrivò proprio all'ultimo metro.
A causa di un disguido, Didine arrivò a Napoli il giorno dopo la scadenza del visto. L'agente della Polizia di Frontiera non ammise repliche e avviò immediatamente le procedure per il rimpatrio. Il volo di ritorno per il Madagascar prevedeva una sosta di un giorno a Roma, prima di proseguire per Parigi e poi per Antananarivo.
Sfruttammo quelle 24 ore in modo disperato e geniale. Creammo una vera e propria unità di crisi a casa di mio fratello Vito. Eravamo in pochi ma determinati: io, mio fratello, Gianni - un giovane magistrato -, Alberto dalla pretura di Amalfi, e Annino, un Commissario di Polizia (oggi Questore) che ci seguiva dalla questura di Parma.
Telefonammo incessantemente al Ministero degli Esteri, degli Interni, all'Ambasciata del Madagascar, perfino alla Caritas nazionale. Alla fine, grazie a una combinazione di amicizie, determinazione e un pizzico di fortuna, Didine venne liberata.
Il mio amico Luigi, disponibilissimo come sempre, oggi Dottore in Biologia e Presidente dell'Azione Cattolica di Amalfi, non esitò minimamente: ci accompagnò all'aeroporto di Roma, e poco dopo incontrai finalmente Didine. Un abbraccio che cancellò tensioni, ansie e fatiche.
Ma ottenere il permesso di soggiorno non era semplice. Per permettere a Didine di uscire dal Madagascar, la MSC aveva organizzato un imbarco fittizio su una nave da crociera nel porto di Napoli, mentre l'ingresso in Italia sarebbe avvenuto con un visto turistico, dalla durata limitata.
Per evitare che quel visto scadesse, e trasformarlo in un visto per famiglia, il 6 ottobre 1992 ci sposammo con rito civile presso il Comune di Amalfi.
Anche in questa circostanza, determinante fu l'aiuto concreto e generoso di Don Gaetano, caro amico di famiglia e albergatore amalfitano, che si spese senza esitazione per farci ottenere il primo visto per famiglia, dalla durata di due anni. Nel frattempo avevamo avviato la pratica per la cittadinanza italiana.
Come si può notare, lungo questo cammino non siamo mai stati soli: ricevemmo aiuto e solidarietà da moltissime persone, ognuna delle quali ha lasciato un segno prezioso nella nostra storia.

 

Il matrimonio ad Amalfi e la "Punizione" del Parroco

Pochi giorni prima del matrimonio, previsto per il 27 dicembre 1992, ricevemmo una comunicazione che ci colse di sorpresa. Don Andrea, il parroco di Amalfi, un uomo giusto e profondamente devoto, ci fece notare che, vivendo "sotto lo stesso tetto" a Furore - un piccolo borgo della Costiera Amalfitana - non eravamo in linea con i canoni ecclesiastici, in quanto considerati conviventi.
Per questo motivo, ci informò che avrebbe celebrato il rito solo con una Liturgia della Parola, senza Messa né Comunione. Una condizione che non ci piaceva, pur sapendo di essere in torto.
Fu l'ultimo ostacolo. Con spirito pratico, trovammo una soluzione last minute: trascorremmo tre giorni separati, in segno di rispetto e riconciliazione con la Chiesa. Didine andò a dormire da mio fratello Vito, mentre io tornai a casa dei miei genitori.
Quel piccolo sacrificio fu sufficiente. Il giorno del matrimonio, Don Andrea celebrò una Messa solenne nella Cattedrale di Amalfi, come da tradizione.
Didine fu accompagnata all'altare da Sua Eccellenza l'Ambasciatore del Madagascar in Italia, che rappresentava la sua famiglia, impossibilitata a raggiungerci a causa della grave instabilità politica nello Stato isolano.
Nel giugno del 1994 arrivò il nostro primo figlio, che decidemmo di chiamare Giuseppe, in onore di mio padre, secondo la tradizione. Fu un momento di grande gioia, un segno concreto di quella nuova vita che avevamo scelto di costruire insieme, nonostante tutto.
Nel marzo del 1997, un altro traguardo importante: Didine divenne ufficialmente cittadina italiana. All'epoca, la legge prevedeva cinque anni di residenza regolare per poter richiedere la cittadinanza, e lei aveva atteso con pazienza e determinazione.
Fu un evento storico, anche per il luogo in cui vivevamo: il primo conferimento di cittadinanza italiana celebrato nel piccolo borgo costiero di Furore, alla presenza del Sindaco Raffaele Ferraioli, che rese quella giornata ancora più speciale.

 

E da allora...

Da quel giorno, la nostra famiglia è cresciuta, guidata sempre dai valori della determinazione, della fiducia e dell'amore autentico. Abbiamo affrontato sfide, distanze e sacrifici, ma anche conosciuto momenti di immensa felicità, come quelli che vivo ogni volta che i miei figli mi guardano con occhi colmi d'amore e orgoglio.
La nostra storia è la prova che, anche quando tutto sembra contro, l'amore trova sempre una via.
E che, talvolta, l'incoscienza è la più grande forma di coraggio. La nostra è la storia di un amore nato tra le onde, temprato dalla distanza, alimentato da sacrifici e reso indissolubile dalla volontà di non arrendersi mai.
E oggi, ogni volta che vedo Didine, ogni volta che ascolto la voce dei miei figli, so che quella scelta fatta nel maggio del 1992, in un porto lontano e in un giorno buio per la nostra nazione, è stata la più giusta e coraggiosa della mia vita. E che, talvolta, l'incoscienza è la più grande forma di coraggio: quando è sorretta dalla determinazione, dalla forza di volontà e dalla tenacia, ci spinge oltre ogni ostacolo e ci conduce verso traguardi che, fino a poco prima, sembravano inimmaginabili.
L'amore trova sempre una via.
Poi sono arrivati Vivienne e Angelo, che - assieme a Giuseppe e Didine - formano con me una famiglia bella, autentica e originale.
Le problematiche non mancano mai, perché la vita è fatta anche di asperità. Ma non riesco, davvero, a immaginare la mia esistenza senza di loro.
A ciascuno di loro, nel modo più semplice e sincero che conosco, posso solo dire:

 

GRAZIE.

Grazie per l'amore, la pazienza, le risate, le discussioni, i silenzi condivisi.
Grazie perché siete voi la mia casa e la mia Vita, ovunque io mi trovi nel mondo.
Poi, dopo i saluti di rito, la mia famiglia è rientrata a casa.
La nave, invece, ha lasciato il porto di Gioia Tauro e ha ripreso la sua rotta.
Ora, dopo circa dieci giorni di navigazione, ci troviamo al largo della costa dell'Africa Occidentale, in viaggio verso l'inverno dell'emisfero australe, diretti a Singapore.
È così, sempre così: un ciclo fatto di partenze e ritorni, di abbracci e distacchi.
Con la speranza di rincontrare presto la mia famiglia, anche se so che passeranno mesi.
Ma questa... è la nostra vita.

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