Economia e TurismoTurismo, «Messico più avanti di noi». Lo sostiene De Masi

Turismo, «Messico più avanti di noi». Lo sostiene De Masi

Inserito da (redazionelda), giovedì 27 aprile 2017 09:20:29

Secondo Domenico De Masi, in campo turistico il Messico sarebbe più avanti dell'Italia. A rivelarlo è lo stesso sociologo a Repubblica, secondo cui non bisogna lasciarsi ingannare dalla massiccia presenza di turisti a Napoli in questi giorni di primavera. Questo flusso aumenta quasi ovunque nel mondo e l'Italia, in questi anni, si sta avvantaggiando del fatto che i Paesi concorrenti dell'Africa e del medio Oriente sono dilaniati dalle guerre e dal terrorismo. Per quanto imponente appaia questa presenza pasquale, non dobbiamo dimenticare che due regioni del Nord - Veneto e Trentino - hanno da sole più turisti di tutto il Mezzogiorno messo insieme. La saturazione alberghiera nel Centro-Nord è del 70%; nel Sud è del 26%.

Le nostre deficienze attrattive sono ataviche. Come ho ricordato altre volte, quando Goethe giunse a Napoli nel febbraio 1787, si sistemò presso la locanda del Sig. Moriconi al Largo del Castello e annotò nel suo diario: "Qui prendemmo possesso di una spaziosa sala proprio all'angolo, che offre una veduta libera e lieta sopra il piazzale sempre in movimento...Tutto questo sarebbe benissimo ma non si intravede né un caminetto né un braciere, mentre il febbraio fa sentire le sue ragioni".

Il 18 marzo, dopo avere visitato Ercolano, ne denunzia lo stato penoso: "È un gran peccato che gli scavi non siano stati eseguiti con un piano sistematico per opera di minatori tedeschi; chi sa quante nobili reliquie del mondo antico non sono andate sciupate con questo scavare che si è fatto alla cieca e con metodi briganteschi!". In fine, il 22 marzo, si sfoga a proposito di quelle che oggi chiameremmo strutture ricettive: "Per decantare la posizione della città e la mitezza del clima, non vi sono parole bastanti; ma questo è anche tutto ciò su cui può contare il forestiero".

Notizie altrettanto scoraggianti possono essere rintracciate qua e là, nei diari, nei racconti, negli epistolari di tanti viaggiatori illustri. Qual è il loro minimo comun denominatore? Che ieri come oggi permane uno scarto tra le bellezze offerte dalla natura, i monumenti costruiti dagli avi, l'inclinazione cortese di alcuni singoli abitanti, da una parte; le strutture, i comportamenti e l'organizzazione complessiva dall'altra. Come se una specie di entropia progressiva avesse man mano degradato le nostre capacità ideative, il buon gusto, la qualità della vita, il rapporto tra uomini e cose.

Il fatto è che, fin quando il turismo rimase un fenomeno esiguo, riservato ad aristocratici del sangue e dell'intelletto, gli sforzi individuali del singolo albergatore o della singola guida turistica potevano anche compensare le carenze di strade, pulizia, riscaldamento, trasporti e manutenzione dei beni culturali. Oggi che il turismo è diffuso a livello di massa, e che nella massa occorre segmentare i vari tipi di clienti, cui adeguare altrettanti tipi di accoglienza, la buona volontà e il buon senso dei singoli operatori non bastano più, e anzi finiscono per mettere in maggiore evidenza le carenze organizzative dell'intero sistema.

Si prenda a paragone la strategia del Messico nell'economia del turismo, che già contribuisce per l'8,5% al suo Pil. In meno di 30 anni, nei 150 chilometri della Riviera Maya che va da Cancun a Akumal, sono stati costruiti 500 alberghi "all inclusive", prevalentemente di quattro o cinque stelle, creando il più spettacolare contesto ricettivo del mondo, esteticamente curatissimo, organizzativamente impeccabile che, oltre al clima e alla flora caraibica, si avvale di quattro ottimi aeroporti e di una scuola alberghiera che non ha pari in Italia.

Al centro della Riviera, venti anni fa Playa del Carmen era un villaggio di pescatori; oggi è una città di 400.000 abitanti che cresce del 20% all'anno. Visitando questa Riviera si capisce cosa sarebbero potute diventare le coste di Mondragone o del Cilento se avessero avuto alle spalle ciò che il Messico ha intelligentemente assicurato alle sue zone turistiche: una rete di ottime scuole alberghiere, un marketing geniale, infrastrutture efficienti, una normativa rigorosa, infrastrutture ultramoderne. Basti pensare che a Playa del Carmen, dove gli alberi crescono fino a 13,5 metri, nessun edificio può superare l'altezza di 13 metri.

I turisti, come si sa, non sono tutti uguali e si vanno sempre più polarizzando su due tipologie contrapposte: da una parte la massa vociante dei vacanzieri estraniati, interessati soprattutto ai fast food, alle discoteche, ai mega-eventi; dall'altra il gruppo minoritario ma prezioso e crescente dei turisti colti e consapevoli, che apprezzano il silenzio, l'introspezione, l'arte, le buone maniere, la convivialità, i paesaggi, la natura incontaminata.

La mancanza di una precisa strategia di mercato induce molti operatori a tentare l'attrazione di entrambi i turismi, accozzando insieme spezzoni di attrattive incompatibili tra loro (il concerto di musica da camera con quello di musica sgangherata) e così finendo per scoraggiare tutta intera la clientela migliore.

Ciò riporta a un altro grave handicap della nostra organizzazione turistica: la frequente impreparazione professionale degli operatori che, in qualsiasi ruolo, influiscono sull'offerta del settore. Questa grave carenza deriva dall'idea infondata che organizzare il turismo sia impresa facile, affidabile al semplice buonsenso di operatori ruspanti. Troppe organizzazioni che si occupano di turismo sono gestite o da privati che tendono ad arraffare il massimo guadagno dal singolo ospite, scoraggiandone così il ritorno; o da pubblici funzionari che tendono a considerare i finanziamenti regionali e comunali come un appannaggio personale, destinato ad alimentare le proprie lobby.

Purtroppo, invece, un buon servizio turistico è assai più difficile di una buona produzione industriale, richiedendo programmazione a più lungo termine, gusto estetico, impegno corale, consolidata tradizione, disponibilità alle innovazioni, managerialità, passione, cultura, formazione permanente.

A fronte di queste esigenze, altrove avvertite e affrontate strategicamente, manca da noi un sistema formativo adeguato alle esigenze del turismo di qualità. Se un giovane campano è disposto a investire tempo e denaro nella propria formazione alberghiera, non trova nulla di adeguato né in Campania né in Italia ed è costretto a trasferirsi in

Svizzera per iscriversi alla prestigiosa ma costosissima Ecole Hôtelière de Lausanne (EHL). È proprio con questa scuola svizzera, ricca di esperienza e di mezzi, che occorrerebbe stringere un'intensa collaborazione per trapiantarne in Campania una succursale di pari prestigio. La reggia e il setificio di San Leucio, restaurati e poi chiusi a tempo indeterminato, potrebbero esserne la sede ideale, diventando un volano per tutta quell'area dissestata.

Fonte: la Repubblica

Galleria Fotografica