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Cronaca

"Chi l'ha visto?", mercoledì 21 ottobre si torna a far luce sull'omicidio di Ravello

Mercoledì 21 ottobre, alle 21,20, su Rai Tre, il nuovo servizio di Gianloreto Carbone

Inserito da (redazionelda), lunedì 19 ottobre 2020 12:00:10

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"Chi l'ha visto?", il celebre programma televisivo di Rai Tre condotto da Federica Sciarelli, dedicato alla ricerca di persone scomparse e ai misteri insoluti, torna sul caso dell'omicidio di Ravello (mercoledì 21 ottobre, alle 21,20, su Rai Tre).

Dopo il servizio andato in onda lo scorso 29 luglio, Gianloreto Carbone, giornalista di punta del programma, narratore noir dalla voce inconfondibile, cercherà nuovamente di fare luce sul morte di Patrizia Attruia avvenuta il 26 marzo del 2015 nella casa degli orrori sotto il santuario dei Santi Cosma e Damiano dove Patrizia, Giuseppe Lima e Vincenzina Dipino vivevano in quella condizione anomala.

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Tanti gli interrogativi che ancora oggi non hanno trovato una risposta. Almeno dalle aule di tribunale. E la settimana prossima si svolgerà l’ultimo grado di giudizio in Cassazione.

Ma perché Enza Dipino non è stata prosciolta dopo la confessione di Giuseppe Lima?

«Sorge un interrogativo al quale spero di rispondere: il sospetto che comincia a venirmi è che ci sono stati degli errori, è una storia abbastanza aggrovigliata» ci aveva detto Carbone durante.

A non convincere, ancora oggi, le responsabilità nell'omicidio di Enza Dipino che in prima battura si era accollata tutte le colpe per poi essere condannata a nove anni e mezzo per la «minima partecipazione» e scarcerata. La sentenza fu annullata dalla Cassazione. In appello inflitti 14 anni e 2 mesi di reclusione, con la Dipino che è nuovamente in carcere.

Per Peppe che aveva chiesto il rito abbreviato ammettendo successivamente di essere stato l'autore dell'omicidio, una pena inferiore: 13 anni e 6 mesi con la concessione delle attenuanti generiche dopo che l'uomo ha ammesso gli addebiti (aveva sempre negato la partecipazione al delitto) affermando di aver colpito la vittima ma di non volerla uccidere. I

In entrambi i casi e nei gradi di giudizio succedutisi è venuta meno l'aggravante della premeditazione.

Le ammissioni di Lima «Quella sera a stento mi reggevo in piedi e comunque sapevo che si sarebbero calmate da sole.

Ricordo che la sera della morte di Patrizia, mentre stavo seduto nella sdraio, le ho sentite urlare con più forza del solito e mi sembra di aver capito che la questione era relativa a chi avesse avuto un rapporto sessuale con me. Di solito per calmare bastava che io urlassi dalla cucina ma quella sera Enza e Patrizia si erano addirittura azzuffate e io, preso dalla rabbia, sono entrato nella stanzetta, le ho separate e poiché Enza era fisicamente molto più piccola della Attruia, ho colpito più volte quest'ultima sbattendola, credo, vicino a un muro, se non sbaglio quello dov'era posizionato il letto.

Sono assolutamente certo di non aver usato alcuna arma o alcun oggetto mi ricordo che in qualche modo Patrizia, molto forte fisicamente, ha reagito e io credo si averle dato alcuni pugni violenti all'altezza del collo o comunque in faccia vicino all'orecchio. Dico credo perché l'unica cosa che ricordo con certezza è che Patrizia nel cadere a terra mi aveva coinvolto nella caduta. Ricordo che credevo che la stessa fosse soltanto svenuta. Altro onestamente non riesco a ricordare perché poi sono tornato nella sdraio e solo più tardi, risvegliandomi, ho visto che Patrizia era nella stessa posizione in cui l'avevo lasciata».

Tante le bugie che hanno condizionato questo processo i cui fatti erano ben chiari sin dall'inizio (vedi nostri articoli dell'epoca in basso). Desta stupore la condanna a Vincenzina Dipino, rea innanzitutto di aver ospitato in casa propria Peppe Lima e Patrizia Attruia, salvandoli dal gelo e dalla miseria di quella baracca in cui vivevano, per poi attribuirsi tutte le responsabilità dell'omicidio.

La Dipino, donna minuta, introversa e morigerata, cresciuta in un'abitazione rupestre, per quarant'anni al seguito della sola anziana madre adottiva, privata di una vita sociale, in questo assurdo processo è stata persino valutata come una "pericolosa assassina, fredda e calcolatrice", che non riusciva a tenere a freno i propri istinti omicidi e che per tale motivo era pericolosa per la società.

Invece tutto l'assioma messo in piedi dall'accusa fu definitivamente smentito dall'avvocato Giani.

Noi siamo stati sempre convinti dell'innocenza di Enza che conosciamo da sempre. A condannarla soltanto la sua ingenuità e la sua debolezza.

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