Tu sei qui: AttualitàSalerno, che ci fanno i giudici alle (false) inaugurazioni di De Luca?
Inserito da (redazionelda), lunedì 25 aprile 2016 17:04:04
di Andrea Manzi
Il sistema di potere di Vincenzo De Luca fonda anche sulla sapiente comunicazione, che diventa talvolta efficace e sotterranea propaganda. Grazie a questo metodo, a Salerno si dileggia il Pd se appare ostile, lo si adula se garantisce spazi o provvidenziali candidature al Parlamento (per il capo & per i suoi cari) o se si piega docilmente alla territoriale volontà di espansione; si dà addosso, con ostentato empito garantista, alla magistratura se osa indagare tra le spire del Sistema, e la si esalta se assolve o se, preferibilmente, tace indulgendo al laisser faire preferito da tutti i regimi; si plaude alla omogeneità sistemica della Campania, dopo aver lavorato di piccone per un ventennio a dividere la regione e a scinderla secondo logiche di appartenenza e di febbrili e rozzi antagonismi (anticipatrici del più ruvido separatismo leghista).
In questo clima manifestamente "spettacolare", nel quale si vive di rappresentazione più che di realtà, praticando il razzismo mediatico per intercettare i brontolii della pancia cittadina incolta e predicando l'accoglienza agli occhi dell'inclita platea campana, fustigando e rabbonendo a seconda del caso o della convenienza, rifondando un'inedita versione di eticismo post-modernista dopo aver incitato ad arricchimenti cementificati dall'interesse lobbistico; in questa logica, dicevamo, non meraviglia che ci si abbandoni ad una rappresentazione spiccia degli interessi elettorali, servendosi della credulità degli uomini e fingendo di servirli. La politica è politica e utilizza ciò che ha. E la spettacolarizzazione è una manifestazione, forse estrema, del sistema capitalistico più reazionario.
Per decenni si è accusato la Democrazia Cristiana di aver agito sulle suggestioni individuali, alterando, di fatto per propria utilità, la libertà del consenso. C'era chi poteva e c'era chi soffriva, in quegli anni. Le campagne elettorali si vincevano se si poteva, si perdevano se si soffriva. Qualche madonna veniva fatta piangere e molte luci spuntavano lungo tratturi impervi. L'asfalto copriva, come d'incanto, il terriccio delle strade cantoniere, fornendo la misura e la forza del potere. Si inaugurava tutto, anche i ruderi intonacati, si tagliavano nastri, guardando al futuro lungo le traiettorie di orizzonti personali che progredivano anche solo di pochi metri grazie all'illuminazione, all'asfalto, alle fontane, alle madonne, alle nuove campane squillanti delle chiese. Poi, vennero le fogne e le condutture del gas: ci si rialzava dalle rovine della guerra: feste, madrine, soprattutto tanti padrini.
Anni lontani ma anche vicini. Gli oppositori di allora, diventati governanti di oggi, hanno rinnovato quei metodi. Il messaggio "tira" se passa nella nervatura personale della gente, si pensa. Ed è vero: la poltiglia reazionaria e demodée del dopoguerra è diventata, infatti, la linfa di molta politica contemporanea e così è accaduto che lo spaesarsi nell'era della globalizzazione sia stato bilanciato dal "paesino" protettivo del particulare che è nel cuore di ciascuno di noi.
Vincenzo De Luca, che si è dimostrato essere un fine conoscitore dell'animo umano, ha elevato a sistema la cultura dell'apparire, del mostrare raccontando, accendendo riflettori sulle opere concluse e su quelle ferme, trasformando abilmente i ritardi in accidenti del destino e le poche consegne dei lavori in conquiste mirabolanti. Talvolta esagerando, però. Nemmeno nella Sicilia di Ciacimino si inauguravano le stesse opere più di una volta, per step, per avanzamento dei lavori. Talché la cittadella giudiziaria, composta da molti corpi di fabbrica, ha già ottenuto tre inaugurazioni, ma altre ne verranno certamente perché sarà necessario - stando alle assicurazioni dello stesso De Luca - che trascorrano, se tutto andrà bene, due anni ancora per poter inaugurare non virtualmente la struttura.
La politica riassume e metabolizza nel suo ventre brontolante anche il senso del ridicolo, e nessuno potrà alterare questa realtà "genetica", ma il danno incalcolabile si ottiene quando una logica di questo tipo, tesa cioè all'amplificazione retorica delle realizzazioni, coinvolge anche poteri o organi dello stato che dovrebbero, invece, essere legati al principio di realtà, non potendo condividere finalità di tipo espansivo e propagandistico di qualsiasi politica, nazionale o locale. Mi riferisco innanzitutto alla magistratura, presente alla inaugurazione dell'ennesimo corpo di fabbrica della Cittadella giudiziaria con tutti i suoi vertici.
Non si trattava della posa della prima pietra né dell'ultimazione dei lavori, quindi dell'inizio dell'attività giurisdizionale in quella struttura, ma soltanto dell'ennesimo rituale ideato per effetto scenico, tant'è che nemmeno è prevedibile il termine dei lavori. Un'occasione per l'abituale show pre-elettorale del sindaco-ex sindaco De Luca che, addirittura, ha ascritto a sé, con il solito intervento al sarcasmo effervescente, il merito del finanziamento che ha consentito il nuovo appalto, schiodando l'opera dal ritardo nel quale è impigliata e resiste da moltissimi anni; attività posta in essere, peraltro, nel controverso periodo di attività governativa "contra legem", per la nota storia dell'incompatibilità tra sindacato e la funzione di vice ministro nel governo Letta (hanno ascoltato i giudici, in proposito, con quanta sicumera De Luca si è auto-assolto dal censurato comportamento contrapponendo ad esso il risultato ottenuto?)
È stata, si dirà, l'apertura della prima campagna elettorale del dopo-De Luca con De Luca più in sella che mai. Una manifestazione spettacolare di ubiquità politico-istituzionale. E questa chiave di lettura spiega il senso di una simil-inuagurazione come quella dell'altro giorno. Ma ad un evento così interno alla comunità politica di riferimento e appartenenza dell'ex sindaco mattatore - e, quindi, non alla città unitariamente intesa - che senso va attribuito alla presenza dei vertici della magistratura? L'interrogativo diventa ancora più insistente e aperto in un clima come l'attuale che, a livello nazionale e locale, vede i due ambiti - quello politico e l'altro giurisdizionale - in cerca di un equilibrio (e, quindi, di una intima credibilità) che, al momento, non sempre appare evidente.
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