Tu sei qui: AttualitàAngelo Vassallo: il mito prima della verità, la rincorsa all’epica eroica
Inserito da (redazionelda), giovedì 11 febbraio 2016 14:11:55
di Andrea Manzi
Per Angelo Vassallo, il sindaco cilentano ammazzato il 5 settembre del 2010, la realtà ormai sorpassa la fiction. La magistratura non ha individuato ancora l'assassino, si brancola nel buio, si addensano le ipotesi investigative più eterogenee, ma anziché il silenzioso rispetto per indagini difficili, ostacolate da un contesto omertoso e viscido, si continua a definire l'identikit di un mito, la cui costruzione fu iniziata con il cadavere della vittima ancora caldo sull'asfalto. È una statua collettiva alla quale si stanno dedicando vaste platee di solerti artigiani, sospinte da un pensiero unico ancorato ai luoghi comuni. Un'operazione "para-normale", dalla quale origina il caso più eclatante di surrogazione della funzione giudiziaria da parte di un'opinione pubblica desiderosa di un simbolo più che di un assassino punito e della verità.
Angelo Vassallo, con questa malattia degenerativa della vita pubblica, non c'entra nulla, sia chiaro. Anzi ne è la vittima, perché a nessuno, dopo la morte, farebbe piacere rivivere, nella coscienza collettiva, come un manichino proteso verso il destino di statua o di monumento. Un uomo appassionato e caparbio, quale fu "il sindaco pescatore", vorrebbe restare nel ricordo così come visse, aspro e crudo con gli avversari, sicuro e coriaceo con gli amici, con le sue luci e ombre. La politica combattuta quotidianamente al Sud, d'altra parte, ha colori forti, alimenta contese aspre e lascia intravedere, in ciascuno, virtù e vizi, livori e mitezze. A meno che la retorica non intervenga ad addomesticare la realtà, allestendo artificiali reti di significati. Se solo potesse deciderlo, Vassallo probabilmente chiederebbe che si riattivasse il rubinetto della verità, che si procedesse ad una rilettura seria della sua vita pubblica e privata, che si scoprano i colpevoli, qualunque sia la causale di un delitto per ora orribilmente oscuro.
Invece, forse per dotare un partito giovane qual è il Pd di una memoria augusta, si è pensato alla prima effigie da sistemare nel suo pantheon. Si è voluto, cioè, imporre all'opinione pubblica, da parte di interessati e solerti estimatori del primo cittadino, un'immagine di sindaco da "c'era una volta". Una febbrile seduzione che ha accomunato tutti, finanche i primi inquirenti arrivati sul luogo dell'agguato, i quali, per folgorazione, ipotizzarono, già in quei convulsi minuti, il delitto di camorra deciso per azzerare un presidio di libertà. Tutto molto sconcertante, al punto che Giuseppe Tarallo, già presidente del Parco del Cilento, è stato aggredito verbalmente per aver detto la cosa più ovvia del mondo: che cioè Vassallo, proprio come tutti i comuni mortali, aveva pregi e difetti, rispettava la legge ma più ancora, come è comprensibile che un politico locale faccia, gli amici e i suoi elettori, dei quali aveva a cuore i destini e gli interessi. Apriti cielo. L'attacco al mito scombussola, evidentemente, i piani di comunicazione distesi sul capo della gente. Se essi crollano, frana l'intera costruzione sacrale di un'area meta-politica inespugnabile. Lì dentro nessuno potrà macchiarsi del peggiore delitto previsto dal codice della retorica democratica: la de-strutturazione del simbolo onnipotente. Per questo motivo, quando Sergio Castellitto, che ha ben interpretato Angelo Vassallo nel film di Raiuno, ha pronunciato un giudizio improvvidamente positivo sulla attuale giunta di Pollica, è stato zittito con scortesia. Il mito è uno, immutabile, eterno, proprio come l'Essere di Parmenide. E ogni contaminazione può insidiarne l'assoluto splendore.
La realtà a Pollica supera la fiction, dicevamo, perché è in atto una rincorsa all'epica eroica, che impone il ritorno a più serene riflessioni adulte. Un aiuto potrà venire dalla magistratura che, dopo sei anni, dovrebbe poter dire perché è morto il sindaco e chi lo ha ucciso. Il resto verrà dopo. I miti teogonici (relativi alla nascita degli dei) avevano un senso nella Grecia antica, non nel complesso e arduo territorio cilentano del terzo millennio.
(da Il Mattino dell'11 febbraio 2016)
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