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Tu sei qui: SezioniSalerno e ProvinciaTra due mesi 50esimo anniversario morte Clemente Tafuri. Chi se ne ricorda a Salerno?
Scritto da (redazionelda), venerdì 8 ottobre 2021 15:38:17
Ultimo aggiornamento venerdì 8 ottobre 2021 15:38:17
di Sigismondo Nastri
Rovistando tra le mie carte, un po' per rimetterle in ordine (cosa alquanto improbabile), un po' per deciderne la futura collocazione (problema che, a 86 anni, mi assilla parecchio), ho ritrovato il libro che ebbi regalato, nell'estate del 1952, con una sua dedica (a Sisgimondo, così mi chiamava), da Clemente Tafuri. È una monografia dell'artista - "Clemente da Salerno, poeta del colore" - scritta da Settimio Mobilio, che non era solo un grande avvocato, ma anche un profondo conoscitore d'arte.
Tafuri - osserva Mobilio - è nato, si è educato nel nostro secolo [il XX] ed ha seguito la sua via, cioè gli impulsi del suo temperamento, senza badare a scuole che egli non ha conosciuto. E aggiunge: "In arte pura non vi sono scuole, perché l'arte è manifestazione spontanea della persona, è attività di pensiero e di sentimento che trae dall'io le sorgenti delle sue espressioni". Giudizio perfettamente attinente al personaggio che amava ripetere, compiacendosene: "Io seguo me stesso", cioè il suo impulso, i suoi stati d'animo.
Nato a Salerno il 18 agosto 1903, deceduto a Genova l'11 dicembre 1971, Clemente Tafuri può essere considerato l'ultimo rappresentante di una pittura tardo ottocentesca che a Napoli aveva come protagonisti Michele Cammarano, Vincenzo Irolli, Antonio Mancini. Una pittura che resisteva ai nuovi movimenti che si facevano strada in Europa e in Italia. Eppure, quando espose a Parigi nel 1951, nella galleria Bernheim-jeune al numero 83 di rue Faubourg Saint-Honoré, il critico Pierre Andrien - sulla rivista Le point de l'art - sottolineò che nei suoi dipinti non c'era nessun bluff, nessun pugno nello stomaco, ma soltanto una bellezza sfolgorante.
Io lo conobbi e lo frequentai - poco dopo la metà degli anni Cinquanta, ero già corrispondente di giornali - quando alloggiava alla pensione Belvedere di Conca dei Marini, presa in fitto per dedicarsi - credo di ricordare - al ritratto di Salvo D'Acquisto commissionatogli dall'Arma dei Carabinieri. Aveva a disposizione due militari che gli facevano da scorta, oltre che da modello. Una sera venne alla torre dell'albergo Luna dove, sulla terrazza proiettata arditamente sul mare, si poteva ascoltare una musica dolce e appassionata. Apparve imponente, spavaldo, come un moschettiere uscito dalle pagine di Alessandro Dumas. Ancora più spavaldo nell'incontro con i pittori piemontesi che in quel periodo tenevano il loro raduno in Costiera, su invito dell'Ente provinciale per il turismo. E, se la memoria non mi tradisce, tra questi c'erano artisti che si chiamavano Francesco Menzio, Italo Cremona, Luigi Spazzapan.
Tafuri è un pittore ormai dimenticato dalla città che pure gli intitolò, sull'onda emotiva provocata dalla sua scomparsa, un bel pezzo di lungomare. Con l'eccezione del calendario 2018 dell'Azienda grafica e cartaria De Luca, curato da Marco Alfano, presentato il 28 dicembre di quattro anni fa a Palazzo di Città.
Fra due mesi, l'11 dicembre, si compirà il cinquantesimo anniversario della morte. Salerno farà passare sotto silenzio anche questa ricorrenza?
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