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Lacrime di coccodrillo (sull’Auditorium di Ravello)

Inserito da (redazionelda), mercoledì 29 gennaio 2020 08:44:20

di Antonio Schiavo

Potevamo stupirvi con effetti speciali.

Potevamo ricordarvi dei viaggi intercontinentali (a spese del contribuente?) per omaggiare un capo di Stato poi incarcerato per corruzione, per ringraziare un'archistar stalinista (a proposito di giornate della memoria) che ci aveva mollato un progetto che sembrava la fotocopia di altre sue realizzazioni in patria e fuori.

Potevamo rammentare a quelli che oggi considerano l'Auditorium Niemeyer un gioiello di famiglia, quali posizioni avverse avevano assunto dieci anni fa, potevamo maramaldeggiare considerando lo stato di degrado del manufatto e degli affidamenti della sua gestione per quattro soldi, dei milioni di euro impegnati per la sua realizzazione (ma è stato mai collaudato?) e altre amenità simili.

Lasciamo ad altri più esperti e sgamati di noi tali questioni compreso quella su quanta parte della skyline panoramica di via Boccaccio abbia ostruito il munifico dono .

Ci limitiamo solo a qualche ragionamento più terra terra.

Tra le motivazioni che spinsero i fautori della costruzione di un auditorium proprio lì e con quella mastodontica spesa ce n'era una che aveva una sua ragion d'essere.

Fu pronunciata la parolina magica: destagionalizzazione, buona per tutti gli usi come un rotolone Regina (un po' l'opera gli somiglia) e per tutte le campagne elettorali.

Si diceva, in altri termini, Ravello non può vivere solo di turismo estivo e festivaliero, un auditorium può servire per attrarre altre forme di presenze: quelle del turismo congressuale, ad esempio, o manifestazioni che non troverebbero giusta location nel periodo invernale, attività accademiche in collegamento con le Università campane e non solo, seminari di studi e così via.

Ineccepibile!

Le grandi località turistiche, i paesi ad alta vocazione culturale in Italia e all'estero adottano questo tipo di politica che espande in maniera regolamentata ma costante i flussi di fruitori e, conseguenzialmente, il benessere economico della popolazione locale a partire dagli operatori turistici.

Orbene (vogliamo usare anche noi questa congiunzione così apprezzata e abusata in articoli, comunicati e manifesti che sembrano scritti sotto dettatura o partoriti dalla stessa mente) quanto di tutto questo si è realizzato in un decennio?

Il nulla più assoluto!

Si sono succedute amministrazioni, Presidenti di Fondazione, Consigli, Commissari, ma non si è visto uno straccio di programmazione che superasse i canonici mesi giugno- settembre.

I pochi tentativi di dare un respiro più ampio ad una idea progettuale che collimasse con l'obiettivo iniziale si sono ridotti a miseri espedienti di organizzare manifestazioni pseudo cultural-folcloristiche (talvolta pure annullate o coincidenti con altre iniziative analoghe) , qualche conferenza estemporanea buttata lì come fumo negli occhi, esperimento completamente andato a vuoto di trasformare l'auditorium in sala cinematografica, ricovero per programmazioni natalizie altrimenti irrealizzabili.

E qui si innesta l'altro discorso, una sorta di gatto che si morde la coda.

Nonostante i tentativi di far sedere gli operatori turistici, i commercianti ravellesi intorno ad un tavolo per garantire aperture regolari e cadenzate nei periodi di bassa stagione, il risultato è stato un ennesimo buco nell'acqua.

"Il deserto dei tartari", lo chiama il nostro Direttore fotografando una situazione incontestabile dove anche qualche visitatore sparuto, attratto esclusivamente dalle bellezze naturali ed artistiche di Ravello, non ha quasi alcuna possibilità di rifocillarsi o pernottare.

D'altronde - è la giustificazione invero abbastanza strumentale degli operatori- perché tenere aperto un esercizio, un bar, un ristorante, un hotel- in assenza pressoché assoluta di avventori?

E gli avventori perché dovrebbero venire da noi se non si è capaci di pianificare quelle iniziative attrattive di cui abbiamo parlato nei periodi dell'anno meno appetibili?

Ecco: tutti, nessuno escluso, avrebbero soprasseduto sulle questioni estetiche, sulla dislocazione della balena bianca (ormai ingrigita di tristezza e disuso), una volta che l'Auditorium avesse risposto alle esigenze per cui era stato costruito a dispetto dei più.

Si sarebbero dovuto, sì, regolarizzare tutti gli aspetti urbanistici, amministrativi e gestionali rendendoli trasparenti e inoppugnabili ma il risultato poteva e doveva essere assolutamente in linea con le promesse e le aspettative.

Ma di bolle di sapone, di proclami al vento, di bizzarre ipotesi (come quella di usare la struttura o parte di essa come palestra) ne sono piene le cronache non solo sui media locali non irreggimentati.

Il primo decennale dell'Auditorium di Ravello appare ora solo come una gara insulsa e improduttiva di reciproche accuse e recriminazioni che, in fin dei conti, assomiglia tanto ad un incessante ed ipocrito piangere sul latte "milionario" versato. Che inoltre, passati dieci anni, si è completamente inacidito.

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