Tu sei qui: AttualitàLa nostalgia di Ravello al tempo del coronavirus
Inserito da (redazionelda), giovedì 7 maggio 2020 13:30:16
di Antonio Schiavo
Ho sentito le campane a distesa della Cattedrale di Santa Maria Assunta, mi sono affacciato al balcone e stranamente non ho visto il campanile, i giardini del Monsignore, le torri imponenti della nostra Villa Rufolo.
Solo una lunga striscia di asfalto, senza nemmeno una macchina e, a poca distanza, dei capannoni di industrie tessili.
Come era possibile? Il suono era assolutamente quello, anche il mio piccolo cane ha abbaiato impaurito come durante la novena di San Pantaleone.
Mi sono guardato intorno, stranito e deluso, ho cercato di percepire il brusio incessante delle folle in Piazza Vescovado, anche il rumore fastidioso durante il carico mattutino del vetro da parte degli operatori ecologici.
Macchè, niente.
Poi ho capito: nell'altra stanza Giulia assisteva alla benedizione eucaristica che l'ipertecnologico Don Angelo ci donava attraverso un collegamento su facebook. In contemporanea sempre sullo stesso social network scorrevano immagini inverosimili e struggenti al tempo stesso di una piazza deserta, muta, ammantata di tristezza inconsueta.
Un gatto si guardava intorno, spaurito. Forse abituato appunto a "sgattaiolare" furtivo tra mille gambe, in mezzo ai tanti tavolini dei bar affollati. Negozi chiusi, serrande abbassate, le porte della Chiesa Madre simili alla Porta Santa del Giubileo.
Un drone dall'alto mi portava, asettico e distaccato compagno di viaggio per le altre strade, gli altri angoli della mia Ravello così bella e adesso dolente, mai vista così nemmeno nelle gelide o brumose serate d'inverno quando pure potevi ritrovarti pellegrino solitario a scendere le scale di Sant'Antonio sferzate dal vento dopo un incomprensibile Te Deum recitato da Padre Andrea o addentrarti in via Roma dove almeno trovavi Mario Conte che chiudeva , buon ultimo, il suo emporio dalle mille mercanzie a dai mille colori.
Nulla, il vuoto più assoluto come quello di un anima smarrita difronte a tutto quanto sta succedendo, ritrovandoti a fare a te stesso domande ancora senza alcuna risposta, inginocchiandoti virtualmente, con quella poca fede che ti è rimasta, davanti ad un ampolla con del sangue vivo chiedendo supporto.
Rientri in casa, le immagini del telegiornale da mesi ci raccontano cose terribili, insensate, che paiono non avere mai fine.
Ti attacchi per l'ennesima volta di quella giornata interminabile al tablet e, improvvisamente, scorre un filmato di un glicine in fiore da Villa Cimbrone, ti pare - ma è solo suggestione di sentirne il profumo intenso e dolce al tempo stesso perché sa di casa.
Te lo conferma Giorgio a cui hai scritto auspicando smartphone che abbiano anche la funzione "odori, sapori e profumi" e lui, da vecchio saggio (non da saggio vecchio per carità) ti risponde: "Antò, meglio lasciare spazio all'immaginazione, ed ai ricordi delle proprie esperienze".
E' vero amico mio, durante il '68 ingenuamente auspicavano l'immaginazione al potere.
Nel nostro caso, in questi giorni così, vorrei che immaginazione fosse solo il sinonimo di speranza.
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