Tu sei qui: Storia e StorieTestimonianze letterarie tardoantiche e altomedievali sul culto dei santi Cosma e Damiano
Inserito da (redazionelda), martedì 26 settembre 2017 08:45:47
di Salvatore Amato
Pochi giorni fa, improvvisamente, lasciava la vita terrena Gennaro Luongo, già ordinario di Agiografia presso l'Università Federico II di Napoli e poi direttore dell'Archivio Storico Diocesano del capoluogo partenopeo, che alla Città di Ravello ha lasciato autorevoli testimonianze della sua esperienza di insigne studioso e di fine filologo, fermate sulla carta negli Atti dei Convegni organizzati e curati dall'associazione per le Attività Culturali del Duomo di Ravello.
In uno di questi appuntamenti, nel 2007, il compianto docente napoletano, riprendendo le fila di alcuni contributi dedicati allo stesso tema e tenuti a Sant'Eufemia d'Aspromonte e in Irpinia, poneva la sua attenzione sul "dossier agiografico" dei santi Cosma e Damiano, ossia sulla raccolta delle testimonianze attinenti agli episodi della loro vita e del martirio, con le numerose varianti ed interpolazioni, interpretati oggi "quali testimoni del gusto e della mentalità di un'epoca". A partire dall'età tardoantica la menzione dei santi Cosma e Damiano è già presente in Teodoreto di Cirro, che nel contesto della controversia cristologica sulle due nature nomina anche i santi Dionisio, Giuliano e Cosma, oggetti di particolare culto a Cirro e nella Siria del Nord.
Nel De aedificiis di Procopio di Cesarea, invece, appare la menzione della guarigione ottenuta dall'imperatore Giustiniano e il conseguente ex voto. Nello stesso testo, lo scrittore bizantino descriverà con grande commozione il santuario dedicato ai santi Cosma e Damiano, il Kosmidion di Costantinopoli, situato all'estremità del Corno d'Oro, su un luogo erto e scosceso a Nord delle Blancherne, innalzato verso il 439 da Paolino. Giustiniano, in ringraziamento della guarigione ottenuta grazie all'intercessione dei santi medici, restaurò ed abbellì la veneranda basilica, teatro di eventi straordinari.
Specifiche competenze medico-chirurgiche vengono assegnate ai santi anche nella Vita di s. Sansone l'Ospedaliere, oppure nella Cronografia di Giovanni Malala, scritta nel VI secolo. Nello stesso periodo, in Occidente, compariva l'opera In gloria martyrum di Gregorio di Tours, in cui la lunga teoria dei santi si snodava inizialmente secondo il criterio cronologico-gerarchico e poi con la carrellata sui campioni della fede, che procedeva secondo il criterio geografico. Nell'elencazione dei santi orientali, l'attenzione veniva posta ai santi gemelli medici, che dopo la conversione guarivano le infermità solo con i meriti della virtù e della preghiera.
Il profilo dell'agiografo della Gallia insisteva anche sulla loro azione taumaturgica post-mortem, fornendoci indicazioni generali sulla tipologia dei miracoli e sull'estensione del culto. Pochi decenni dopo, nel mondo orientale, un'altra esplicita testimonianza sul culto dei santi è contenuta nella Vita di Teodoro di Siceone, scritta dal monaco Giorgio nella prima metà del VII secolo. Il protagonista della vicenda, Teodoro, gravemente infermo, vede avvicinarsi i santi angeli venuti a prenderne l'anima; gli compaiono allora i santi Cosma e Damiano nella stessa foggia con cui erano raffigurati nell'icona appesa al suo capezzale. Accostatisi al malato, esaminano secondo la prassi abituale dei medici il battito del polso e, accertata la gravità della malattia, chiedono a Cristo una "dilazione" per il povero Teodoro, che in breve tempo si riprenderà. Alla fine del VII secolo, ritornando di nuovo in Occidente, nell'opera De Virginitate di Aldelmo di Malmesbury, nella quale i modelli proposti vengono presi dalla Bibbia e dalle storie dei martiri, i santi Cosma e Damiano sono definiti celesti medici. La vasta diffusione della devozione verso i due santi trova ampia conferma anche nella tradizione liturgica, che appare sostanzialmente assai confusa e complessa: infatti, ad una pressoché assoluta unità del mondo latino, si contrappone una pluralità di feste nel mondo greco orientale. Nel IV secolo, i nostri santi non appaiono nella lista della Depositio martyrum romana, che pure includeva santi non romani, quali Perpetua e Felicita e il vescovo martire Cipriano. Al silenzio del calendario romano, faceva eco, agli inizi del V secolo, il Martirologio siriaco di Edessa, redatto nel 411. La prima menzione occidentale si ritrova nel Martirologio Hieronymianum, che fissa al 27 settembre la festa, così come attestava il Sacramentario gelasiano e gregoriano. Nel mondo bizantino, invece, a partire dal Sinassario della Chiesa di Costantinopoli, risultavano celebrate tre feste in onore dei santi Cosma e Damiano, corrispondenti ad altrettante coppie di santi venerati dalla chiesa greca. Le tre ricorrenze cadevano il 17 ottobre, 1 novembre e 1 luglio, le ultime due celebrate nei due santuari maggiori della capitale d'Oriente. Altre varianti del Sinassario ricordano la festa dei gemelli medici anche in altre date, ad esempio il 29 ottobre, quando la celebrazione si teneva presso la chiesa di s. Paolo all'Orfanotrofio. In ambito orientale, oltre al ricordo delle feste bizantine del 1 novembre e 1 luglio, abbiamo una celebrazione dei santi il 16 giugno, riportata da quattro manoscritti. Nel calendario palestinese-georgiano che Giovanni Zosimo copiò nel terzo quarto del X secolo, ben otto sono le feste dei nostri santi: 4 marzo, riferito ad una dedicazione locale, 1 e 19 luglio, 17, 25, e 27 ottobre, 1 e 29 novembre.
Il moltiplicarsi delle feste in onore dei santi Cosma e Damiano è senza dubbio - scriveva Luongo - "la conseguenza delle tante ed oscure traslazioni totali o parziali, dedicazioni di chiese e oratori". Districandosi nei fili dell'aggrovigliata matassa cultuale, il bollandista van Esbroek, notava che le feste si addensavano principalmente intorno al 18 novembre e al 16 giugno, date dei calendari siriaci e copto-arabi, non conosciute in Occidente e dalla Chiesa di Costantinopoli. Proprio il 16 giugno, allora, potrebbe riferirsi ad un antico dies natalis o ad un'importante traslazione.
Dal quadro fin qui delineato, che meriterebbe trattazione molto più ampia per la molteplicità degli elementi che intervengono a modificare vicende e ricorrenze, si evince facilmente la straordinaria diffusione del culto dei santi anargiri, ricordati dalla chiesa latina, greca e orientale con diverse specificazioni, talora legate alla dedicazione di luoghi di culto o alla traslazione di reliquie.
Un'immagine delle testimonianze più antiche, quella di Procopio, ci pare di poter associare perfino al nostro santuario di Ravello. Si tratta della descrizione del Kosmidion, meta di pellegrini bisognosi di sanità e di speranze.
Procopio ce lo descrive così: "allorquando alcuni sono assaliti da malattie inguaribili, disperando nell'umano soccorso, ricorrono alla sola speranza loro rimasta, e imbarcati su chiatte, navigano attraverso l'insenatura verso questo santuario, che campeggia come su un' acropoli ed offre loro la possibilità di godere della speranza che vi promana". Quanti elementi della descrizione di Procopio, seppure a quattordici secoli di distanza, ci pare di ritrovare nel santuario ravellese. La collocazione su un'altura, a picco sul Tirreno, e soprattutto la speranza.
Quella speranza che per tanti secoli e ancora oggi fedeli di ogni ceto sociale hanno riposto e ripongono nella potente intercessione dei santi Cosma e Damiano, ai quali, secondo la testimonianza emblematica di Gregorio di Tours, uno dei più grandi scrittori del Medioevo, cuncti fideliter deprecantes sani discesserunt.
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