Tu sei qui: Storia e StorieLa festa patronale a Scala nel 1897
Inserito da Salvatore Amato (redazionelda), lunedì 9 agosto 2021 16:17:51
di Salvatore Amato
«La protezione patronale, le ragioni che ne determinano la scelta, la fisionomia che essa assume nella sensibilità e nel pensiero della comunità, la festa patronale, la rappresentanza patronale della comunità sia dal punto di vista religioso sia da quello civile e tutto ciò che, nell'insieme, è direttamente o indirettamente collegato alla figura del patrono costituiscono, indubbiamente, un campo di proiezioni fondamentali nell'ambito cattolico per l'individuazione della figura storica, della natura, della struttura che una società assume e presenta nella sua vita religiosa, nella sua esperienza sociale, nelle sue vicende civili».
Queste parole di Giuseppe Galasso, nel contesto di una nota lettura antropologica della vicenda storica del Mezzogiorno, costituiscono in filigrana le premesse che sono alla base del ciclo festivo che, pur con le limitazioni del tempo attuale, segna annualmente la vita delle comunità municipali.
Un osservatorio privilegiato per la determinazione del contributo civile al fenomeno rituale è rappresentato, ovviamente, dagli atti relativi ai bilanci redatti dalle deputazioni incaricate dell'organizzazione della festa, che permettono, al contempo, di conoscere il complesso mondo di figure professionali e artigianali costituenti ancora oggi l'ossatura dell'universo festivo meridionale.
In tal senso, le celebrazioni patronali di Scala dell'anno 1897 potrebbero rappresentare una tipologia più o meno diffusa di festa, pur con le legittime e orgogliose differenze in seno a ciascuna comunità.
Per quell'anno, i deputati individuati per l'amministrazione della festività di San Lorenzo erano: Diego Mansi, Francesco Proto, Eduardo Fabricatore, Domenico Del Pizzo, Gaetano Cappuccio, Giovanni Gambardella, Lorenzo Mansi fu Alfonso, Francesco Aceto, Gabriele D'Amato, Luigi Imperato fu Gabriele.
A loro toccava non solo di ‘combinare' con le maestranze l'organizzazione dei momenti civili, ma soprattutto di rientrare nelle spese preventivate attraverso il concorso del maggior numero di offerenti possibile.
Una particolarità riscontrata per la festa del 1897 e per i decenni successivi era quella di dividere i contributori per frazioni, in modo tale da verificare quali fossero gli abitati più ‘sensibili' al momento festivo, tenendo ovviamente conto della maggiore o minore densità abitativa.
Per la festa patronale del 1897, le famiglie dimoranti nella frazione individuata sotto la denominazione di Piazza e San Pietro contribuirono con la somma di 206,25 lire, con l'offerta più alta di dieci lire in testa al sindaco in carica Lorenzo Mansi e ad Alfonso Imperato fu Filippo.
Accanto ai contribuenti cittadini si trovavano anche quelli particolari, individuati tra il notabilato degli altri paesi della Costa, con prevalenza di offerenti ravellesi. Tredici lire provenivano dalla raccolta fatta a Londra da cittadini emigrati e cinque lire da Taranto offerte da Lorenzo Alviggi.
Alle voci dell'introito si aggiungevano, inoltre, il fondo cassa, le entrate provenienti dall'utilizzo di beni demaniali e, soprattutto, la somma stanziata dall'Amministrazione municipale.
La discussione sul contributo da offrire ‘per solennizzare' la festa patronale si presentava nella seduta nel Consiglio Comunale dell'11 giugno 1897, presieduta da Gabriele D'Amato per il Sindaco assente, dalla quale si apprende che nel bilancio di previsione erano stati eliminati i fondi da destinare alle celebrazioni, creando forte malcontento nella popolazione. Così, i consiglieri Gaetano Cappuccio e Diego Mansi proposero di approvare la somma di 200 lire «ritenuto che il non concorrere alla festa sarebbe causa di turbamento dell'ordine pubblico», perché «il Comune ha sempre concorso a questa festa da tempo immemorabile».
Iscritto nelle voci d'introito anche il contributo del Comune, il totale raccolto, insieme a qualche altra somma recuperata posteriormente, ascendeva a 1110,25 lire.
La festa celebrata il 9 e 10 agosto 1897 vide la partecipazione della "musica da Salerno", composta da 36 elementi, compreso il primo clarino e "due voci da Napoli", che giungevano da Vietri con diverse carrozze. I fuochi pirotecnici, sparati con un calendario ben definito a partire dall'inizio del mese dedicato al Santo e fino al giorno dell'Ottava, prevedevano anche l'utilizzo di 2500 mortaretti. L'addobbo era affidato a Biagio Cantarella, mentre Pantaleone Mansi forniva 1150 lumi. Ai pirotecnici e ad altre maestranze era offerto anche un barile di vino, mentre i gelati erano destinati ai sacerdoti intervenuti di Scala e Ravello. Nel giorno della festa patronale venivano consegnate ai fedeli le immagini votive del Patrono e il pane, trasportato da Pasquale Ferrigno, cui spettavano anche otto lire per il suono delle campane.
La spesa totale occorsa per i solenni festeggiamenti raggiunse la cifra di 1235,80 lire, a fronte delle già ricordate 1110,25 spendibili, con un debito di 125,55 lire risarcito dai componenti della Deputazione.
Nonostante le incertezze iniziali sul reperimento dei fondi, a causa dello «stato poco florido della popolazione», la festa patronale di Scala era stata solennizzata anche nel 1897, garantendo non solo la tradizionale manifestazione pubblica della venerazione popolare tributata a san Lorenzo, ma anche quell' "annuo svago" desiderato dalla popolazione, che nei segni della festa esorcizzava, seppure per poche ore, angustie e preoccupazioni in cui era costretta dalla vita quotidiana.
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