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Storia e Storie

Riflessioni tra Oriente e Partenope, tra crepe e rinascita

Il Kintsugi siamo noi: Klaus di Amalfi e l’arte di aggiustare col cuore

Un racconto poetico e ironico che unisce il Giappone e Napoli, attraversando il dolore, la bellezza imperfetta e la forza di chi si rialza. Perché, come scrive l'autore, “una crepa acconciata co' 'o core è cchiù bella 'e ’na casa senza storia”.

Inserito da (Admin), sabato 19 luglio 2025 14:11:43

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Oggi, caro lettore,
Voglio giocare con ironia, che in fondo è una perla di verità mascherata da sorriso.
Penso all'arte del Kintsugi e ai Giapponesi.
Ma anche a Napoli e ai Napoletani.
Perché, a pensarci bene, il Kintsugi potrebbe benissimo essere nato a Napoli, magari tra un vaso rotto e 'a nonna ca dice:

"Nun te preoccupà, Nenní.
Mo' ce penze 'a Nonna.
Mo’ to cconce je 'statu guaio.
E vedrai ca vene cchiù bello 'e primma."

Ma andiamo con ordine.

Il Kintsugi, dobbiamo importarlo?
O lo abbiamo già in casa?

Il Kintsugi, nella sua forma rituale e dorata, è sicuramente giapponese.
Ma la sua anima è universale.

L’Italia, e Napoli in particolare, conosce da secoli l’arte di riparare con bellezza ciò che si rompe.

Faccio degli esempi.

Le cuciture visibili nelle lenzuola ricamate delle nonne.
I piatti incollati con l'attack, ma messi da parte
"per quando viene qualcuno".

Le ferite dell’anima coperte da musica, battute, arte, poesia.

E se i giapponesi ci mettono la polvere d’oro,
i napoletani ci mettono l’ironia, il perdono, il cuore.
E anche quello è Kintsugi.

L'importante è capire bene il messaggio.

Rinascere dalle crepe

C'è una bellezza che nasce solo dopo una frattura.
Non è quella delle vetrine, né quella dei sorrisi forzati.
È la bellezza delle crepe.
Di chi è caduto, ma ha trovato un modo per rialzarsi senza nascondere nulla.

Le cicatrici non sono difetti.
Sono tracce di battaglie combattute.
Senza il bisogno di vincere sugli altri.
Sono ricami della vita su corpi e anime che non hanno avuto paura di rompersi.

Ogni dolore lascia un segno.
E noi possiamo scegliere.

Coprirlo di vergogna o abbracciarlo con oro.
Come fa il Kintsugi.

Come fa chi sa che non si torna indietro, e non sarà mai più come prima,
ma si può diventare addirittura meglio, di prima.

Ci sono persone che hanno imparato dai crolli.
Che il cuore, se si spacca, può contenere più luce di prima.
Che la dignità non sta nell'essere perfetti,
ma nel procedere e avanzare dritti, come interi, anche quando si è stati spezzati.

E allora, che cos’è il Kintsugi per noi?

È una madre che perdona.
È un figlio che ricomincia.
Che riparte dopo avere sbagliato.
È un amico che resta.
È un popolo, come quello italiano, che si rialza da terremoti, guerre, disastri, silenzi.

È anche Napoli, che non ha bisogno dell’oro giapponese, perché ha quello del Vesuvio, del sole e delle sue lacrime asciugate col canto.

Perdonami ora,
Caro lettore,
se concludo alla napoletana.

Il Kintsugi sarà pure giapponese,
ma lo spirito è partenopeo.
Solo che loro l’hanno codificato,
noi lo viviamo a sentimento.

E allora, se la vita ti rompe,
non cercare di nascondere le crepe.
Riempile d’amore, di storie, di lentezza, di umanità.
E se vuoi, aggiungici pure un filo di sarcasmo napoletano.
Perché, diciamocelo francamente,
‘na crepa acconciata co' 'o core è cchiù bella 'e ’na casa senza storia.

E ora, lettore caro,
a te che hai vissuto, perso, sbagliato, amato,
dedichiamo le parole fiere di Anna Magnani,
icona di rughe, forza e verità:

"Non toglietele, le rughe. Ci ho messo una vita a farmele venire!"

Klaus di Amalfi

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