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Storia e Storie

Santa Chiara compatrona di Ravello

Inserito da (redazionelda), sabato 11 agosto 2018 13:00:08

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di Salvatore Amato

La disciplina sul culto dei santi, sulla venerazione delle reliquie e sulle immagini sacre era stata normalizzata dal Concilio di Trento nell'ultima sessione del 3-4 dicembre 1563.

L'invocazione ai santi veniva presentata dai padri conciliari come buona e utile «nella misura in cui essi possono chiedere a Dio delle grazie per i fedeli, attraverso l'intermediazione del Cristo». Le disposizioni in tale materia non furono richiamate immediatamente nei sinodi diocesani ravellesi, al punto che pochi anni dopo la chiusura dell'assise conciliare, il sinodo del Vescovo Ercole Tombesi del febbraio 1568 non ne fece alcuna menzione.

Solo alla metà del secolo successivo, durante l'episcopato di Bernardino Panicola, i sinodi diocesani del 1644 e del 1651 cominciarono a fissare alcune regole sul modo di venerare i santi, le immagine sacre e le reliquie. Nel corso delle ostensioni solenni, le reliquie dovevano essere illuminate con plura lumina cerea, mentre nelle esposizioni private ne bastavano due. Il sacerdote incaricato dell'ostensione doveva indossare cotta e stola e il momento dell'esposizione accompagnato dal suono continuo dell'organo e delle campane. Più dettagliata, in tal senso, appare la legislazione sinodale del Vescovo Saggese, che nel 1674 ribadiva la necessità di esporre al popolo le reliquie dei santi nel giorno della loro festa, evitando quelle manifestazioni che non fossero state fatte devotamente o che non avessero ottenuto l'autorizzazione dall'Ordinario o dal suo vicario generale.

Sulle immagine sacre, poi, il presule prescriveva che i santi dovevano essere rappresentati con le attribuzioni devozionali specifiche, accentuandone particolarmente il senso della castigazione corporale, del digiuno e della mortificazione.

Alla fine del Seicento, il nuovo Vescovo della Diocesi Ravello e Scala, Luigi Capuano, affronterà il problema della venerazione delle reliquie con maggiore solerzia, ordinando nel Sinodo del 1695 di rifare nuovamente i reliquiari e di ricollocarvi in maniera decente le reliquie. Inoltre si esortavano i fedeli ad invocare incessantemente i santi tutelari e i Patroni non solo per le proprie necessità, ma soprattutto per allontanare l'ira e il castigo divino.

Accanto al patrono principale, nel corso dell'età moderna si assiste al proliferare di santi protettori "secondari", eletti, a partire dal 1630 con una particolare procedura sancita dal Decretum pro patronis eligendis, emanato da Papa Urbano VIII. L'elezione doveva essere fatta dall'amministrazione civile e dal clero con apposita deliberazione, allora definite "conclusioni", e il processo spedito alla Sacra Congregazione dei Riti, per l'approvazione o meno della proposta.

È la prassi che si seguì anche a Ravello, nel maggio del 1736, allorché l'Università del Popolo, l'amministrazione comunale del tempo, con la partecipazione anche del Sindaco dei Nobili, Pietro Fusco, deliberò l'elezione di santa Chiara a patrona "meno" principale e di stabilire che il 12 agosto fosse osservato come giorno di precetto, "affinché maggiormente possa santificarsi". Le motivazioni addotte dal governo cittadino per la scelta di tale patronato nascevano ovviamente dalla presenza, a Ravello, dell'antico e munifico monastero di donne nobili a Lei dedicato, «nel quale - scriveva il cancelliere dell'Università, il notaio Luise d'Amato - nel tempo presente gioisce la regolare osservanza con edificazione grandissima, non solo di essa Città, ma de' luoghi vicini e lontani».

In realtà, sembra che l'iniziativa di diffonderne il culto fosse stata presa dal vescovo di Ravello, Antonio Maria Santoro, dell'Ordine dei Minimi di san Francesco di Paola, che il 4 maggio 1736 convocò la maggior parte del Capitolo della Cattedrale di Ravello nel Palazzo Vescovile, proponendo il trasferimento della statua con le reliquie di Santa Chiara dal monastero alla Cattedrale per tutto l'arco dell'anno, e trasportarla nella chiesa conventuale solo nella vigilia e nel giorno della festa. Non sappiamo se l'iniziativa del presule ravellese trovò accoglimento presso il capitolo monasteriale, ma, come che sia, il 28 maggio successivo, a seguito della supplica presentata da Pietro de Fusco e Diego d'Afflitto, sindaco e pro-eletto dei Nobili, e da Carmine Imperato e Domenico D'Amato, pro-sindaco ed eletto del Popolo della Città di Ravello, il vescovo Santoro confermò l'elezione di santa Chiara «per una delli Patroni e Protettori meno principali di essa Città», fissandone di precetto il suo giorno festivo. Quest' iniziativa non rappresentò certo una novità per il culto clariano a Ravello, che già tra il 1638 e il 1641, a seguito della legislazione sinodale del vescovo Celestino Puccitelli, aveva conosciuto un nuovo sviluppo, con l'indizione di una nuova e solenne celebrazione del dies natalis della santa assisiate.

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