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Inserito da (redazionelda), venerdì 12 aprile 2019 07:40:47
di Patrizia Reso
Stavo sistemando un po' le carte, che finiscono anche per sovrastarmi, e, come spesso capita, ti ritrovi vecchi giornali tra le mani. A volte ti domandi perché lo hai conservato, dato che in prima pagina non ci sono titoli eclatanti. Tutto mi appare più chiaro sfogliando le pagine ormai ingiallite, mi salta agli occhi il titolo: "Giornalisti, ogni anno in Sicilia 10 anni di carcere per diffamazione. Querelati in 437: ma solo 16 vengono condannati", pubblicati il 14 dicembre dello scorso anno, sul Fatto Quotidiano. Secondo i dati del Ministero di Grazia e Giustizia nella sola Sicilia, si registrano circa 500 denunce ogni anno nei confronti di giornalisti che si occupano di cronaca o politica, ma solo in 16 compaiono in processo per diffamazione a mezzo stampa. Sono numeri che danno da pensare. Quasi come ci fosse una corsa alla querela per diffamazione, limitando notevolmente la libertà di stampa e di informazione.
Leggo sempre più spesso di casi simili a quello di Paolo Borrometi oppure Paolo Berizzi... Neanche a farlo apposta questi due giornalisti, agli antipodi dello Stivale, non solo hanno in comune la scorta, per minacce diverse d'origine, ma perfettamente uguali nella sostanza, ma anche il nome e le iniziali! Entrambi giovani uomini, privati ormai di una propria vita, obbligati a dar conto di ogni azione, hanno sacrificato la loro esistenza per aver semplicemente scritto. Scritto di cose e persone che sono sotto gli occhi di tutti, ma che intimoriscono e minacciano se se ne parla apertamente e, aggiungo, legittimamente, cioè in base a documenti, foto o video archiviati e poi repertati.
Borrometi è stato aggredito e minacciato più volte da personaggi della cosiddetta criminalità organizzata, alias mafia, camorra, ‘ndragheta ... Berizzi invece è stato più volte aggredito e minacciato per aver parlato della "nuova politica" che avanza, alias naziskin e formazioni neofasciste.
E' impensabile e assurdo realizzare che in uno stato democratico si debba correre il rischio di morire per scrivere verità consolidate da fatti e documenti, neanche se fossero corrispondenti di guerra! Chissà perché mi viene in mente un altro nome, quello di un cavese, Luigi De Filippis, che anni fa, molti anni fa, prima ancora che ci fosse questo stato democratico, fondò un giornale, "La rivista del Mezzogiorno", che riuscì a sopravvivere solo sette anni, dal '19 al '26, dato che fu più volte denunciato, censurato, minacciato, fino alla devastazione di tipografia e redazione, per i suoi articoli.
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