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Un gesto per ricordare il giovane carabiniere maiorese caduto in servizio

Maiori intitola la sezione dell’ANC ad Alfonso Ruggiero, esempio di coraggio e dedizione

La sezione dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Maiori porterà il nome di Alfonso Ruggiero, ventunenne morto nel 1949 durante un’operazione contro due estorsori a Larciano. Un tributo al suo sacrificio e ai valori dell’Arma.

Inserito da (Redazione il Vescovado Notizie), domenica 26 ottobre 2025 08:53:16

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La comunità di Maiori ha voluto rendere omaggio a uno dei suoi figli più valorosi, il Carabiniere Alfonso Ruggiero, dedicandogli la sezione locale dell'Associazione Nazionale Carabinieri. L'iniziativa, annunciata dal presidente Dario De Rosa, rappresenta un segno di riconoscenza e memoria verso un giovane che nel 1949, a soli ventun anni, perse la vita durante un'operazione di servizio in Toscana.

 

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La vicenda che lo vide protagonista si consumò a Larciano, in provincia di Pistoia, dove Ruggiero partecipava a un'azione contro un tentativo di estorsione ai danni di una famiglia del posto. Quella notte, mentre tentava di bloccare i malviventi insieme al maresciallo Pasquale Donati, fu colpito a morte durante un conflitto a fuoco. L'operazione portò comunque, in seguito, all'arresto e alla condanna dei responsabili.

 

La morte del giovane carabiniere suscitò profonda commozione sia in Toscana che nella sua Maiori, dove oggi riposa. Già nel 1949, a Larciano, l'amministrazione comunale aveva eretto un cippo commemorativo in suo onore, tuttora presente.

 

Con questa nuova intitolazione, Maiori riafferma il valore di chi ha scelto di servire lo Stato con lealtà e coraggio, ricordando Alfonso Ruggiero come simbolo di dedizione, disciplina e senso del dovere.

 

Di seguito il testo dell'articolo edito da IL NOTIZIARIO STORICO DELL'ARMA DEI CARABINIERI a firma di Gianluca Amore

 

IL CARABINIERE ALFONSO RUGGIERO

 

La penisola sorrentina è un promontorio che divide i due golfi campani, di Napoli e di Salerno, determinando anche le giurisdizioni amministrative della due città capoluogo di provincia. Castellammare di Stabia, Sorrento, Massa Lubrense, sono alcuni dei più noti comuni del versante napoletano, mentre Vietri sul Mare, Minori, Maiori, Amalfi, Positano sono tutti comuni della famosissima costiera amalfitana, la parte salernitana del promontorio.

 

Tutti i paesi sono accastellati sui fianchi del promontorio e la posizione e il clima ne fanno poi delle vere e proprie perle ambitissime per trascorrervi le vacanze estive o soltanto per un giro fuori porta domenicale.

 

Proprio in una calda giornata d'estate, il 22 luglio 1927, era nato a Maiori Alfonso Ruggiero. L'infanzia, l'adolescenza e poi la guerra, disastrosa e sfortunata, che Alfonso si era, indenne, lasciato alle spalle.

 

Diciottenne, il 24 aprile 1946, avendo chiesto l'arruolamento volontario con la ferma di tre anni nell'Arma dei Carabinieri Reali, era stato incorporato presso il Battaglione Allievi di Bari. Alla fine del corso addestrativo, il 30 settembre 1946, aveva ottenuto la nomina a carabiniere a piedi e il 21 ottobre seguente, dalla città pugliese, aveva raggiunto la Legione di Cagliari per essere impiegato nel servizio d'Istituto.

 

In Sardegna aveva trascorso poco meno di due anni perché il 10 settembre 1948 aveva raggiunto la Legione di Firenze, destinato alla Stazione di Larciano, nella provincia pistoiese.

 

In quella sede Alfonso, raggiunti i ventuno anni, aveva continuato a dimostrare di essere un militare disciplinato e scrupoloso nei servizi e nei compiti che gli venivano assegnati, tanto da meritare, nell'aprile del 1949, la prima rafferma.

 

Larciano era un centro di circa cinquemila abitanti, distante quindici chilometri dal capoluogo di provincia, che durante la guerra aveva sofferto molto l'occupazione nazista. Il locale comando della Stazione dei Carabinieri era retto dal Maresciallo Maggiore Pasquale Donati, stimato sottufficiale molto apprezzato dalla popolazione.

 

Nada Fagni e Metelio Dami erano due coniugi che abitavano nella frazione Cecina di Larciano ed erano conosciuti in paese come una coppia benestante.

 

Il loro tenore di vita forse faceva invidia a qualcuno giacché, ai primi di maggio di quel 1949, il capofamiglia si era visto recapitare dal postino una lettera minatoria, ovviamente anonima, con una pretesa di denaro.

 

Il 10 maggio, dopo circa una settimana dal ricevimento della prima lettera, una seconda missiva con più pesanti minacce lo aveva indotto a rompere gli indugi e a rivolgersi al Maresciallo Donati. Così, per via dei più che plausibili timori che avevano innalzato la soglia della prudenza, l'uomo aveva inviato la moglie direttamente a casa del sottufficiale per riferire della cosa. Una volta nell'alloggio la donna aveva raccontato delle spaventevoli minacce ricevute e dell'intimazione di consegnare un milione e trecento mila lire entro la mezzanotte del 13 maggio, in un preciso punto del "rifugio di Dante di Gildo", nei pressi della località di Ponte Rio Cecina, una frazione del comune di Larciano.

 

Il sottufficiale, una volta andata via la donna, aveva deciso di incontrare il Dami quello stesso pomeriggio in un località lontana di Larciano, per concertare un piano teso alla cattura dei malfattori: Metelio Dami avrebbe fatto ciò che gli era stato richiesto, ma con lo stratagemma di lasciare nel punto indicato, in luogo della somma richiesta, un pacchetto contenente finte banconote ricavate da ritagli di giornali, fasciate da due autentiche banconote da mille lire delle quali sarebbero state preventivamente annotate le serie numeriche.

 

Ciò avrebbe costituito, nelle intenzioni del Maresciallo Donati, l'esca per i malfattori che sarebbero caduti in trappola, arrestati nella flagranza dell'estorsione.

 

Quel 13 maggio era un giorno molto piovoso, ma il Dami si era recato lo stesso al "rifugio di Dante di Gildo" per compiere ciò che sapeva di dover fare.

 

Erano le dieci di sera e i carabinieri erano già appostati da un po' in alcuni punti strategici individuati nel sopralluogo del giorno prima. Il Maresciallo Donati e il Carabiniere Ruggiero formavano una pattuglia e il Maresciallo Capo Eliseo Scuteri e il Carabiniere Salvatore Pochinu Carta ne costituivano una seconda.

 

I due sottufficiali erano armati di pistola, mentre i due carabinieri anche di arma lunga. Tutti avevano con sé anche due bombe a mano. Poco dopo la mezzanotte il Maresciallo Donati e il Carabiniere Ruggiero udivano un fruscio di passi sulla strada e scorgevanonel buio le sagome di due individui che si avvicinavano al rifugio che in sostanza era costituito da due nicchie scavate in una costa di terra argillosa. Ad un certo momento uno dei due individui, accesa una lampadina tascabile, con fare circospetto, si avvicinava al punto in cui il Dami aveva lasciato i soldi e, prelavato il pacchetto, entrambi si allontanavano con rapidità. Il Maresciallo Donati e il Carabiniere Ruggiero avevano osservato tutta la scena e avevano deciso di palesarsi per procedere al fermo dei due. Era la parte più rischiosa dell'operazione. Balzavano dal nascondiglio e il sottufficiale, con voce ferma e tonante, intimava "Mani in alto!" ed esplodeva un colpo di pistola in aria per dar maggiore forza all'intimazione e sorprendere i malfattori, ma pure per dare così segnale per intervenire all'altra pattuglia appiattata ad alcune decine di metri.

 

I due però, spenta la loro lampadina tascabile, esplodevano subito diversi colpi di arma da fuoco immediatamente corrisposti dal Maresciallo Donati. Dopo il silenzio delle armi il sottufficiale si accorgeva di essere rimasto lievemente ferito, ma con sgomento pure constatava che il Carabiniere Ruggiero era riverso a terra, morto, perché colpito all'occhio destro.

 

Nonostante anche l'altra pattuglia capeggiata dal Maresciallo Scuteri avesse esploso dei colpi e fatto uso di un ordigno esplosivo, gli omicidi riuscivano a dileguarsi favoriti dall'oscurità e dalla pioggia che rendevano vano ogni tentativo di inseguimento.

 

Alla notizia dell'esito infruttuoso dell'operazione di polizia e per di più della morte del giovane Alfonso Ruggiero, il Comandante della Compagnia di Montecatini Terme, il Capitano Manlio Donati, radunato tutto il personale disponibile in caserma, raggiungeva il luogo del fatto intorno alle tre; assunta la direzione delle indagini disponeva un accurato rastrellamento delle zone circostanti e al contempo ordinava che una pattuglia, capeggiata dal Vice Brigadiere MicheleDi Maio, si recasse a controllare l'abitazione di un sospettato che dimorava a qualche chilometro di distanza.

 

Si trattava di certo Teofilo Tempesti, un cinquantenne nativo di Lucca ma stabilito da tempo a Larciano, che lavorava come spazzino del paese; questi condivideva l'abitazione con la figlia Brunetta e con il genero, Gino Vezzoni, e offriva dimora pure ad un suo collega di lavoro, Giulio Lisci, un ventiquattrenne originario della provincia di Sassari.

 

Il Maresciallo Donati sapeva che il Lisci deteneva una pistola calibro 7,65, lo stesso dei bossoli rinvenuti sul luogo del delitto.

 

In casa del Tempesti i carabinieri raccoglievano diversi elementi che suffragavano i sospetti sul conto del padrone di casa e di Giulio Lisci: abiti bagnati, avvolti e nascosti in vari punti della casa, due biglietti da mille lire della Banca d'Italia - che saranno la prova regina in sede processuale poiché le serie stampigliate erano proprio quelle in possesso degli investigatori! - e la pistola del Lisci, una Bernardelli calibro 7,65 che, sebbene apparisse ben pulita, emanava forte e chiaro odore di recenti detonazioni. Il Vice Brigadiere Di Maio decideva, così, di condurre tutti in caserma per interrogarli. Il Vezzoni, primo ad essere escusso, riferiva di aver visto rincasare il suocero e il Lisci nella notte molto esagitati e che il Lisci, al momento dell'irruzione dei militari dell'Arma, aveva consegnato qualcosa alla moglie chiedendole di nasconderla. Brunetta Tempesti, avendo dapprima negato un suo coinvolgimento, aveva finito poi per ammettere di aver ricevuto un pacchetto dal Lisci e di essersene sbarazzata gettandolo nel pozzo nero; subito recuperato si rivelava essere quello contenente le finte banconote fatte con i giornali ritagliati.

 

Dopo di ciò venivano interrogati prima Teofilo Tempesti e poi Giulio Lisci. I due, di fronte alle evidenze emerse grazie agli elementi di prova suffraganti l'ipotesi investigativa della loro colpevolezza, rendevano una confessione pietosa al pensiero che dal loro disegno criminale fosse scaturita la morte di un giovane carabiniere.

 

La deposizione dei due maggiori indagati avveniva anche di fronte al Pretore di Monsummano Terme che aveva raggiunto Larciano, il quale disponeva il trattenimento nelle camere di sicurezza della locale Stazione dei Carabinieri.

 

Ecco in breve la ricostruzione degli eventi, il Tempesti e il Lisci, entrambi spazzini assunti dal Comune di Larciano, avevano deciso di rimpinguare il loro introiti estorcendo una cospicua somma di denaro alla ricca famiglia di Metelio Dami. Il giovane Giulio Lisci aveva scritto le due lettere minatorie su suggerimento del Tempesti e, sempre il medesimo, aveva usato la propria pistola contro i militari uccidendo il carabiniere e ferendo il Maresciallo Donati. Una volta rientrati a casa, bagnati e sporchi di fango, avrebbero pensato a far sparire gli abiti e tutto quanto avrebbe potuto ricondurre al fatto. Il 15 maggio Teofilo Tempesti e Giulio Lisci, imputati di estorsione, omicidio e tentato omicidio, venivano tradotti presso il carcere di Pistoia, mentre Brunetta Tempesti veniva denunciata in stato di libertà per il reato di favoreggiamento personale.

 

Il giorno appresso, nel pomeriggio, tutta la comunità di Larciano dalle personalità delle istituzioni del territorio alla gente comune, si stringeva in un univoco profondo cordoglio in occasione degli imponenti funerali organizzati per il povero Carabiniere Ruggiero; fra i molti fiori compariva anche l'omaggio floreale di Metelio Dami che in un qualche modo era toccato dall'evento luttuoso che aveva colpito gli affranti familiari del militare giunti in tutta fretta da Maiori.

 

Alla fine della funzione il feretro di Alfonso Ruggiero, accompagnato dai congiunti, veniva condotto a Maiori dove avrebbe trovato degna sepoltura nel cimitero del paese natio.

 

La scomparsa del giovane militare dell'Arma trovava riscatto, l'11 luglio 1952, seppur fosse una magra consolazione, con l'intervento della giustizia; infatti il procedimento penale a carico degli imputati culminava quel giorno con la sentenza della Corte d'Assise di Firenze che condannava il Lisci all'ergastolo e il Tempesti a trent'anni di reclusione e comminava ad entrambi la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

 

A Larciano ancora oggi un cippo, fatto erigere presso il luogo del delitto dall'Amministrazione comunale ed inaugurato il 28 agosto 1949, ricorda questa giovane vittima del dovere.

 

Gianluca Amore

 

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Sono aperte le iscrizioni 2026 alla sezione di Maiori dell'ANC, chiunque ne voglia far parte contattare il seguente indirizzo mail: maiori@sezioni-anc.it.

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