Tu sei qui: Flusso di CoscienzaTelevisione, famiglia, scuola: se la società rinuncia a educare
Inserito da (Admin), mercoledì 18 giugno 2025 04:17:59
Un ragazzo di 21 anni, boy scout, studente universitario a Roma, uccide la madre in Puglia. È con questa notizia terribile che si è aperta ieri, alle 17 su Rai1, La Vita in Diretta. Subito dopo, il programma rilancia le nuove indagini sul delitto di Garlasco, un caso vecchio di diciotto anni. A raccontarlo è il giornalista e professore Sigismondo Nastri, che si imbatte casualmente nel programma e sceglie subito di cambiare canale. Ma quel breve frammento televisivo basta a farlo riflettere su un tema profondo e scomodo: il ruolo diseducativo della televisione e, più in generale, della nostra società.
«Non condivido la pubblicità (eccessiva) che viene data a raccapriccianti episodi di violenza», scrive Nastri in un post diventato virale. «Il rischio di emulazione non andrebbe sottovalutato. I delitti diventano così come le ciliegie: uno tira l'altro». Il giornalista non si limita alla critica mediatica, ma va al cuore della questione: perché la nostra società è diventata così cattiva, così violenta?
La sua risposta è netta e amara: abbiamo distrutto i pilastri educativi su cui si fondava la nostra civiltà. La famiglia, innanzitutto, «non è più un nucleo coeso, ma una somma di individualità che vivono sotto lo stesso tetto». Niente dialogo, niente condivisione. Ogni membro ha il suo smartphone, il suo televisore, il suo isolamento.
Poi la scuola, un tempo luogo di formazione umana oltre che culturale. Nastri lo sa bene: per trent'anni è stato insegnante, e ancora oggi, a novant'anni, ex alunni lo cercano per un consiglio. «Perché mi sono posto nei loro confronti non solo come insegnante, ma come guida, come punto di riferimento», scrive. Un ruolo che, denuncia, oggi è sempre più raro.
Infine, la crisi dei valori religiosi e morali, anche a causa, secondo Nastri, di una Chiesa che avrebbe «rinunciato alla sua vocazione missionaria». In assenza di punti fermi, i giovani - e non solo loro - si rifugiano nei modelli offerti dai media e dai social, troppo spesso segnati da superficialità, individualismo e cinismo.
Quello che emerge dal suo intervento non è solo un atto d'accusa, ma un invito alla responsabilità. Perché se è vero che non si può spegnere il mondo con un telecomando, è altrettanto vero che si può, e si deve, riaccendere una coscienza critica. E, forse, ripartire proprio da lì: da una televisione più etica, da una scuola più umana, da una famiglia più presente. E da adulti disposti a tornare educatori, prima ancora che spettatori.
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