Tu sei qui: CuriositàPerchè Sanremo è Sanremo e l'Italia è l'Italia?
Inserito da (admin), venerdì 13 febbraio 2015 12:20:57
Ogni anno il Festival di Sanremo ci regala tante polemiche e rumors, alcuni reali altri creati ad arte per smuovere l'attenzione popolare.
Prendiamo spunto da alcuni articoli del portale on line Napolistyle.it che, nei giorni passati, ha pubblicato un'intervista a Massimo Troisi, ricordando il suo rifiuto a partecipare all'edizione del Festival di Sanremo del 1981; in un breve articolo, invece, ha ricordato ai suoi lettori un grande artista napoletano, il principe Antonio de Curtis, in arte Totò, che nel 1959, lasciò la sede della più famosa kermesse di musica italiana, tra le polemiche dell'epoca per come si svolgessero le selezioni e le successive classifiche.
Quello che ci ha colpiti è proprio la dichiarazione del principe della risata napoletana riportata integralmente nell'articolo di "OGGI" del 24 dicembre 1959:
"Ho accettato una carica credendo che essa comportasse lo svolgimento di precise funzioni: nell'istante in cui mi sono accorto d'essere in errore, l'ho abbandonata. Tutto qui. La storia dei miei rapporti con la commissione incaricata di scegliere le venti canzoni per il prossimo Festival di Sanremo si potrebbe riassumere in queste semplici parole, e mi sarei guardato bene dall'aggiungerne altre, se l'interesse suscitato dal mio gesto non mi avesse obbligato a spiegare come sono andate realnente le cose. Lo faccio ora, soprattutto per dovere verso il pubblico, al quale mi sono sempre sentito strettamente legato. Ma tengo a precisare sin dall'inizio che non intendo entrare in polemica con nessuno. Desidero soltanto esporre il mio punto di vista. Quando mi offrirono la presidenza della commissione esaminatrice, fui seriamente tentato di rifiutare. Conoscevo troppo bene l'ambiente del Festival per non sapere che rischiavo di andare incontro a discussioni, proteste, iniminicizie o, in una parola, a un'infinità di grane. Alla fine, purtroppo, cedetti alle insistenza del mio carissimo amico Radaelli, e accettai [...] esistono presidenti onorari e presidenti effettivi. Gli uni possono attribuire alla loro carica un valore puramente simbolico, gli altri no. Un presidente effettivo ha il dovere di dirigere i lavori dell'organizzazione di cui è a capo, e ciò significa che egli deve equilibrare i pareri discordi, mantenere una determinata linea, far pesare la propria autorità sulla bilancia delle decisioni. Altrimenti, a che serve nominarlo? Sono disposto a riconoscere che ho un carattere piuttosto battagliero. Ho imparato a lottare sin da ragazzo, e ho sempre lottato, nella mia professione come nella mia vita privata. Può darsi che il mio modo di fare sia un po' autoritario, e può darsi anche che la mia educazione all'antica mi impedisca di avere quella elasticità che oggi è di moda. Comunque stiano le cose, però, io mi rifiuto di ammettere che il presidente di una commissione come quella del Festival possa essere considerato una figura decorativa o, peggio ancora, un fantoccio. E, soprattutto, non ammetto che la parte del fantoccio tocchi a me."
La morale di questo bellissimo spezzato di fine anni '50 è che in Italia, allora come adesso, avremmo bisogno di più uomini disposti a lottare e meno uomini di facciata, pronti ad essere impagliati.
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