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A casa di Gaetano Afeltra dieci anni dopo

Inserito da Mimmo Dela Monica (redazionelda), venerdì 9 ottobre 2015 08:33:17

di Mimmo della Monica

Ho incontrato Maddalena Afeltra nella sua casa di Milano, a pochi passi dal Teatro Manzoni e dalla Scala. Ci accoglie (sono in compagnia dei miei figli) con molta cordialità, estremamente gentile, in un grande salotto tappezzato di libri e quadri, arredato con gusto: colori tenui, poltrone e divani in pelle.

Mi è parsa una donna estroversa, non priva di ironia, somiglia molto al padre : lo stesso sorriso, lo stesso modo di gesti colare quando parla; dal suo sguardo talvolta traspare un'ombra di malinconia.

Tu sei stata testimone in questa casa di molti incontri tra tuo padre e altri grandi giornalisti, chi ricordi in particolare?

«Ricordo Montanelli, Biagi, Bettiza, Ronchey, Nascimbeni, Arrigo Levi... ma chi ricordo con maggiore affetto è Dino Buzzati, col quale papà ha sempre avuto un rapporto più che amichevole, direi affettuoso».

Mi mostra alcuni quadri di Dino con dedica; sono ignorante in fatto di pittura, non saprei come definirli, di sicuro colpiscono, non lasciano indifferenti. Mi conduce nello studio di suo padre, semplice, con tanti libri e foto si Amalfi; fa bella mostra sulla scrivania una foto di Buzzati con dedica e mi mostra un foglio su cui sono elencati i libri che Buzzati suggeriva alla sedicenne Maddalena.

Deve più Gaetano Afeltra a Milano o Milano a Gaetano Afeltra?

«Difficile rispondere. So di certo che papà, Milano, l'aveva nel sangue. Gli offrirono, prima ancora della direzione del "Giorno", la direzione del "Mattino" di Napoli, per lui sarebbe stato come un ritorno a casa... rifiutò, era troppo legato a Milano».

Secondo te, qual è stato il momento più bello della vita di tuo padre?

«Ce ne sarebbero tanti... ma forse il momento più bello è stato quando sono nata, me lo ripeteva ogni tanto...»

E il più doloroso?

«Non lo dimenticherò mai, il giorno della morte della mamma. Ricordo che quel giorno volle una scritta sulla bara: "Aspettando Gaetano". Come un titolo, incisivo, di quelli che lo hanno reso celebre».

Tra i colleghi di tuo padre, oltre a Buzzati, c'era qualcuno con cui stava volentieri?

«Forse Enzo Biagi. Era molto bravo, sapeva farsi leggere e capire, e soprattutto non dimenticava mai il lato umano di una storia. Erano molto legati, e lo testimonia quel toccante articolo che Biagi scrisse il giorno della scomparsa di papà... hai fatto benissimo a riproporre nel tuo libro».

Cosa provava tuo padre quando tornava ad Amalfi?

«Provava molta gioia, era felice. Amava fermarsi al bar "Savoia", chiacchierare con pochi vecchi amici rimasti. Ricordo soprattutto certi pomeriggi di fine estate, quando lo accompagnavo a fare due passi sulla spiaggia, talvolta il cielo si incupiva, diventava quasi viola e il silenzio intorno era interrotto solo dal rumore del mare... guardava davanti a sé la distesa d'acqua, poi voltandosi, buttava l'occhio sulla torre dello Ziro, sul cimitero... gli occhi lucidi».

Cosa ricordi di quel 9 ottobre di dieci anni fa?

«Ricordo molte persone, amici e conoscenti, colleghi. Il primo ad arrivare fu Biagi, affettuoso come sempre. Poi De Bortoli, Mieli, Zavoli, Cervi, Missoni, e tante, tante altre persone... ma voglio raccontarti un particolare che non ho mai detto, gli ultimi giorni papà mi chiedeva spesso: "Maddalena, quando rivedrò la mamma?", io non trovavo la forza per rispondergli, sentiva che l'ora si avvicinava... poi, quella domenica mattina, ancora la stessa domanda con un filo di voce: "Quando rivedrò la mamma?". A quel punto trovai la forza: "presto, papà, molto presto».

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