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Scritto da (Redazione), martedì 21 aprile 2020 21:00:22
Ultimo aggiornamento martedì 21 aprile 2020 22:25:05
di Christian De Iuliis*
Che poi, cosa ci troveremo mai di tanto affascinante in questa libertà!
Chiedo: siamo proprio sicuri di voler uscire? Eravamo forse felici quando eravamo tutti liberi?
Collaudare la sua condizione opposta ne ha svelato tutti i difetti.
Personalmente, ho sempre diffidato della libertà. Ora posso dirlo.
Prima di tutto, la libertà è impegnativa ed implica spostamenti frenetici.
Ci costringe a vacanze estenuanti, sempre minacciati da ansiogeni imprevisti.
Durante la libertà il traffico intossica l’aria; auto, aerei, bus turistici rilasciano fumi tossici che tutti sono costretti a respirare. E poi la fretta: la libertà ti induce a programmare più cose di quante tu stesso sia in grado anche solo di immaginare di fare.
E quanti incontri del tutto evanescenti accadono! Persone di nessun interesse che vogliono esporti il loro pensiero del tutto inutile. Una seccatura asfissiante.
Quanti dibattiti superflui in nome di questa libertà! Riti elettorali di nessun valore. Scelte che crediamo decisive si rivelano futili come i pomeriggi d’Ottobre.
Persino l’arte, la letteratura, la satira sono del tutto inutili in tempi di libertà: se possono provarci tutti non ha senso per nessuno.
Finiamo così per leggere sempre lo stesso libro scritto sempre dallo stesso scrittore, che troviamo "entusiasmante".
La natura si nasconde in tempi di libertà. Io vorrei proprio sapere dov’erano finiti prima tutti questi uccelli?
Per non parlare dell’assurda corsa al denaro e della ricerca del successo. Persone di nessun talento discettano in televisione del di ogni "perché".
Li ascoltiamo pensando di poter fare uguale, anzi meglio.
"Se ce l’ha fatta lui" pensiamo. E’ questo un grosso inganno della libertà: non sappiamo come ce l’ha fatta.
E poi regolamenti, norme, leggi. Milioni di leggi, sempre in aggiornamento, per arginare gli imbrogli. O per facilitarli.
Niente a che vedere con la comodità della prigionia.
Col piacere beatamente tranquillizzante della schiavitù che prima appiattisce e poi cancella qualsiasi ambizione personale, ponendoci tutti in una situazione di luminoso equilibrio.
Possiamo mangiare cibo buono, chiedere che ci venga accordato il permesso per andare dal parrucchiere o a correre nel parco, fare satira sul potere, senza esagerare. Scrivere idee sovversive, se proprio vogliamo, e poi chiederci perché non ci scelgono mai.
Non c’è bisogno di scervellarci per cambiare il governo. Quello che c’è è perfetto. E se non va bene, va bene uguale. Ci consente di avere la pizza a domicilio e un mensile sul conto corrente se non abbiamo voglia di lavorare.
Serve altro?
Possiamo respingere l’idea di scaricare una "App" che registri i nostri spostamenti. Essere minacciati per questo, ribellarci, avviare un pletorico dibattito parlamentare, trovare un compromesso, rifiutarci ancora, il tutto mentre stiamo pubblicando tutti i cazzi nostri sui social: ricette, trasferte, simpatie politiche, insulti, foto dei figli e confessioni di reati non ancora prescritti.
Quanto meraviglioso ordine in regime di schiavitù!
Quelli che lavorano lo fanno sorridendo, anche la natura sorride, le stagioni profumano e le autostrade sono deserte; persino gli ospedali pian piano si sono svuotati: c’è un silenzio meraviglioso in tempi di schiavitù.
La televisione trasmette la messa tutti i giorni, il calcio "in chiaro", Fazio la domenica sera, serie televisive di quattro puntate così didascaliche che dopo un quarto d’ora della prima già si è capito dove si andrà "a parare".
Nessun amico, o presunto amico, ha la pretesa di convincerti col proprio pensiero. Di pensiero ne basta uno, rapido, snello, che non contempli laceranti meditazioni.
Le istruzioni arrivano facilmente col whatsup. A disposizione di tutti gli abbonati.
E se non basta, ci sono le preghiere in filodiffusione a rilassare.
Anche la burocrazia è una coperta calda in tempi di prigionia. Una sola confortevole legge tanto liberale da comprendere tutte le altre.
Inoltre, in tempi di libertà si ha sempre il terrore che questa, da un momento all’altro, ci venga sottratta, mentre durante la detenzione è vitale il sogno di uscirne.
Sicuri che vogliamo uscire?
*architetto, scrittore e opinionista
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