Tu sei qui: Lettere alla redazioneFurore, la cisterna ritrovata: un antico sapere per affrontare le sfide del presente
Inserito da Raffaele Ferraioli (redazionelda), lunedì 1 febbraio 2016 18:53:02
di Raffaele Ferraioli*
C'era una volta la cisterna... Una riserva d'acqua accumulata al tempo delle piogge, e quanto mai preziosa nei mesi di calura estiva, specie in campagna e nelle aree agricole.
E c'era la sorgente alla quale si andava, barile o damigiana in spalla, a prelevare l'acqua per il consumo potabile, quotidiano. A Furore ce n'erano due: una a Levante, nel vallone Vottara, presso l'alveo del Rio Penise, lungo il sentiero di Abu Tabela; l'altra a Ponente, sotto l'Eremo di Santa Barbara. Questi luoghi mi sono sempre apparsi, non so perché, come avvolti in un alone di mistero, pervasi da un'atmosfera arcana. Testimoni compiacenti di facili innamoramenti e di incontri furtivi, come ci ricorda il grande E.A. Mario nella sua "Fontana all'Ombra": "Sta funtanella ca mena a tanto tiempo l'acqua chiara, ha fatto a chiù ‘e ‘nu secolo ‘a cummara...". Tralascio la divagazione che pure resta piuttosto intrigante, e torno subito alla cisterna.
La sua "bocca" era quasi sempre dentro casa, ma qualche volta troneggiava anche nel bel mezzo del cortile. Aveva una funzione di serbatoio di accumulo dell'acqua piovana, che in essa confluiva dal tetto di casa attraverso grondaie e pluviali. Quando nascondeva nel suo seno più nascosto una qualche scaturigine, la sua denominazione diventava "pozzo". Nelle sue acque serpeggiavano anguille e capitoni, chiamati a garantirne la salubrità a mò di depuratori naturali, buoni anche per essere fritti e mangiati la notte di Natale.
Era il tempo della "civiltà della polpetta", quella ispirata alla logica del "non si butta mai niente!". Ma, ahinoi, questo mondo sapiente e giudizioso era destinato a scomparire. Qui da noi a Furore rimase in vita fino agli anni Cinquanta, quando venne costruito il cosiddetto "civico acquedotto" e i rubinetti ebbero la meglio su tutto l'armamentario preesistente. Secchi, mummere, langelle, barili e damigiane vennero accantonate per far posto a una modernità che presto doveva rivelarsi tutta basata sullo spreco. L'acqua corrente cominciò a "correre" davvero in un maniera sempre più incontrollata. Per lavarci i denti o per farci la barba teniamo il rubinetto aperto (sfido chiunque a contraddirmi!) e consumiamo una quantità di acqua cento volte superiore a quella strettamente necessaria. E così facciamo con la doccia e con altri mille sprechi quotidiani.
Questi piccoli esempi dimostrano come siamo a un consumo irresponsabile, che finisce per renderci colpevoli di contribuire ad aggravare la tragica penuria di acqua in vaste zone del pianeta, causa di malattie e di morte di migliaia di persone ogni giorno.
È tempo di voltare pagina, di innescare un processo di coscientizzazione rispetto a questa triste realtà. Il sistema delle cisterne era di per se dissuasivo rispetto allo spreco, lo impediva, lo ostacolava. Merita per questo di essere recuperato.
L'idea delle "cisterne di quartiere", da me proposta già da alcuni anni, può essere facilmente realizzata. Non potendo recuperare le vecchie vasche in muratura, trasformate ormai quasi tutte in pertinenze abitative, si possono utilizzare grossi serbatoi in polietilene, interrarli nei terrazzamenti agricoli esistenti (specie in quelli abbandonati), senza alcuna modifica dell'aspetto esteriore dei luoghi e alimentarli con prese di acqua piovana dalle strade e dalle aree pubbliche. Si attenuerebbe così finanche il fenomeno delle vie pedonali pubbliche trasformate in torrenti e rese impercorribili in caso di pioggia.
La capacità delle cisterne potrà essere calcolata in rapporto alle esigenze dei quartieri interessati. E questo potrebbe essere oggetto di una pianificazione specifica a livello comunale. Nel nostro comprensorio i presupposti ci sono tutti: l'acclività del suolo, i salti di quota delle rupi, i volumi pieni dei terrazzamenti facilmente svuotabili e utilizzabili per l'interramento dei serbatoi, il facile ripristino delle coltivazioni sui terrazzamenti sovrastanti.
Questi veri e propri "sistemi idrici" possono essere realizzati dai Comuni con autofinanziamento o con il ricorso al project financing, visto che l'acqua recuperata può essere venduta anche ai privati per usi non potabili, agricoli e/o industriali.
Qui a Furore questa innovazione-sperimentazione è già partita nell'ambito della realizzazione del Giardino Furitano, i cui lavori sono stati ormai completati e saranno inaugurati a breve. È stata infatti installata una batteria di sette serbatori da 45.000 litri ciascuno, posti dietro i muri di contenimento e in grado di garantire una riserva d'acqua sufficiente ad assolvere i bisogni di irrigazione delle aree verdi del Parco. Un'idea semplice, quasi un uovo di Colombo, ispirata alla necessità di usare le risorse disponibili sapientemente, orientata a ispirare un'inversione di tendenza e a puntare a un modello di sviluppo nuovo e vincente.
Ritrovare la cisterna, quindi, per ritrovare i saggi comportamenti di una civiltà storicamente illuminata ma che appare troppo spesso smarrita.
*sindaco di Furore
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