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Gourmet

La cucina di Pasqua in Costa d'Amalfi, tra tortani, casatielli e pastiere

Inserito da (redazionelda), mercoledì 12 aprile 2017 10:46:01

di Sigismondo Nastri

Ristorante Masaniello a Maiori, Cucina Tipica e raffinata in Corso Reginna

«Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi» ammonisce un vecchio detto: forse è vero oggi, perché c'è la tendenza a viaggiare e perché le case moderne non si prestano a grandi tavolate. Se gli ospiti sono più di quattro, di solito, si preferisce andare al ristorante. Ma la Pasqua ha rappresentato in passato un grande appuntamento conviviale. Tanto più che, in Costiera, s'usava benedire la mensa. Avviene ancora in molte case. Ci si reca in chiesa, la mattina, a prelevare l'acqua santa. E con questa, intingendovi un rametto d'ulivo, dopo un momento di preghiera, il capo famiglia, all'inizio del pranzo, asperge la tavola imbandita e gli stessi commensali. Lo faceva mio padre, cerco di tener viva questa tradizione.

Ricordo la scampagnata del Lunedì in Albis ('o pascone), che era quasi una riconquista della libertà. Con una replica a fine settembre, in occasione del pellegrinaggio al santuario dei Santi Cosma e Damiano a Ravello. Non c'era niente di meglio che portarsi una grossa fetta di gattò di patate, farcito con salame, formaggio, mozzarella, o una frittata di maccheroni. E l'immancabile pastiera. Da consumare in una sosta, lungo il percorso, all'ombra di un albero.
Nota Francesco de Bourcard, che a metà dell'Ottocento ha raccontato dettagliatamente gli usi e costumi di Napoli: «Non descriverò il pranzo pasquale: aprite la Cucina del duca di Buonvicino e troverete più di quel ch'io potrei dire. Ma i cibi di prammatica sono la minestra di Pasqua, lo spezzatello con uova e piselli, l'agnello al forno, l'insalata incappucciata, la soppressata colle uova sode, il tortano, il casatiello, e per corona a suggello del pranzo la pastiera».

Maurizio Russo, liquorificio dal 1899 - Bu, le creme con latte di Bufala

Con un'esplosione di profumi e sapori Pasqua segna la conclusione della quaresima, iniziata all'indomani dell'ultimo martedì grasso: un periodo di preparazione lungo quaranta giorni (quarantaquattro, con le domeniche) caratterizzato da penitenza e digiuno, che cessa con la resurrezione di Gesù. La Pasqua può, finalmente, essere celebrata anche a tavola. E siccome coincide - la data corrisponde alla domenica che segue il primo plenilunio di primavera - col periodo in cui si ammazzano i maiali, ecco che nel menu la carne suina la fa da padrona. Sotto forma di fellata (affettati di sopressate e capicolli), che si abbina al casatiello (tortano di pane con sugna e cicoli, decorato con uova intere, cotte anch'esse in forno, venduto in panetteria), alla ricotta salata 'e Montella da gustare insieme alle fave fresche, primizia di stagione. Poi c'è la menesta mmaretata, come a Natale: un trionfo di verdure, calate in un brodo nel quale si son messe a cuocere parti meno nobili del maiale, ma dal sapore intenso: insaccati ̶ pezzente, annoglie ̶ , cartilagini e ossi tenuti in salamoia.
Questo, senza rinunciare al primo piatto - maccheroni al forno o conditi con ragù di carne (col ragù si sposano a meraviglia ‘e ricce furetane) - e al capretto (in Costiera preferito all'agnello) contornato da patatine novelle.

Infine, i dolci: in particolare la pastiéra, dal profumo inebriante di cedro e fiori d'arancio. Rigorosamente di fattura domestica, con quel tocco personale che la distingue dalle altre. Ci sarebbe tanto da discuterne, lo farò in altro momento. Tipico della Pasqua amalfitana è ‘o casatiello dóce: un disco sottile di pan di Spagna coperto di naspro bianco, sul quale si colloca una pecorella di zucchero o, meglio ancora, di marzapane (a simboleggiare l'Agnus Dei, il Cristo risorto). Ne sento forte la nostalgia...

Giambattista Basile, ne "La gatta Cenerentola", commenta: «E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n'asserceto formato».
Una grande abbuffata, insomma? No, semplicemente il trionfo del gusto e dello stare insieme, perché - recita un detto antico, e vale in particolare per i giorni di festa ̶ «chi magna sulo s'affoca».

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