Tu sei qui: Eventi e SpettacoliIl Mattino: «Il festival di Ravello e la politica sono un caso clinico»
Inserito da (redazionelda), venerdì 11 gennaio 2019 12:03:19
Il festival di Ravello e la politica sono un caso clinico. A dirlo è il giornalista e intellettuale Francesco Durante in un articolo pubblicato stamani sul quotidiano Il Mattino con richiamo di taglio basso in prima pagina.
Durante, che tesse l'elogio alla lunga e prestigiosa tradizione musicale del Festival di Ravello, conviene che oramai il sistema gestionale della Fondazione Ravello sembra essere imploso a causa della mala gestio politica e delle "solite" divergenze politiche tra Regione Campania e Comune di Ravello. Il giornalista auspica l'arrivo di una personalità culturale e manageriale come quella di Mauro Felicori a restituire slancio all'ente, soprattutto a contenere continue invasioni di campo.
Di seguito riportiamo, per completezza d'informazione, testo integrale del succitato articolo.
Il Ravello Festival, dati la sua storia lunga e prestigiosa e il luogo semplicemente mirabile che lo ospita, potrebbe (dovrebbe) confrontarsi con manifestazioni artistiche della caratura di quelle che si tengono a Edimburgo o a Bayreuth; e con quelle manifestazioni potrebbe (dovrebbe) dialogare in un fecondo rapporto di collaborazione. Ma Ravello non si trova né in Scozia né in Baviera....le vicende di questi giorni stanno dimostrando non per la prima volta, esibisce la sua vocazione a impantanarsi in questioni che nulla hanno a che vedere con la vocazione artistica. Veti incrociati, baruffe dal retrogusto provinciale, una generalizzata e costante tendenza della politica a intrudersi in campi che non dovrebbe praticare non almeno con la protervia che le è consueta stanno portando la Fondazione Ravello a una specie di paralisi della quale si fa fatica a capire il senso.
Diciamo subito che, malgrado tutti i problemi di governance che ci sono sempre stati ma che negli ultimi tre anni si sono riacutizzati, la qualità della proposta culturale a Ravello è complessivamente riuscita nell'ultima gestione a mantenersi a livelli degni della tradizione. Ma si può immaginare che fatica quei risultati siano costati: non certo in termini finanziari, ché Ravello è destinataria di generosissimi contributi pubblici, ma piuttosto in termini di defatiganti, lente, ossessive mediazioni per l'appunto politiche.
La struttura della Fondazione è stata pletorica con un consiglio di amministrazione e un consiglio di indirizzo in conflitto tra loro e ciascuno al proprio stesso interno e ha dovuto pagare dazio a troppe dogane. Storicamente, e quasi inesorabilmente, il Comune di Ravello (un comune di 2500 abitanti) è attestato su una barricata opposta a quella dell'ente più grande, la Regione, che ha più voce in capitolo, e ha vissuto le scelte della Fondazione quasi come imposizioni decretate da un insopportabile potere alieno, benché pretendesse di condizionarle e orientarle in un'ottica fatalmente assai più angusta di quella che dovrebbe associarsi al rango del festival. E bisogna dire che di solito non si è trattato di una lotta in nome della libertà: giacché, poi, l'inerzia politica di Davide assomiglia moltissimo a quella di Golia, e tutto si riduce alla voglia di sistemare le cose nella maniera più conveniente dal proprio limitato punto di vista. Per il quale, va da sé, la qualità artistica, lo spessore culturale e l'efficienza della macchina sono temi secondari rispetto ad altri che attengono all'occupazione di posti o, più ancora, alla titolarità del diritto di piazzare persone gradite da questa o da quella parte, e di presidiare, all'occorrenza con rigore quasi militare, questo o quell'orticello. Non è, sia chiaro, soltanto un problema di Ravello: anche a Spoleto, dove si tiene il Festival dei Due Mondi, il rapporto tra il Comune (che peraltro di abitanti ne ha quasi 40 mila) e la Fondazione non è mai stato idillico.
La lista dei nomi degli ultimi anni è fin troppo lunga (in certi momenti è stata una vera sarabanda di nomine e dimissioni), e non la rifaremo qui. Ma, per tenerci all'unico e più recente caso, può darsi che Mauro Felicori possa rappresentare il punto di equilibrio di cui adesso ha bisogno Ravello. Felicori è un manager sperimentato e autorevole, tiene alla propria autonomia e, soprattutto, in virtù dei propri trascorsi, potrebbe essere la persona giusta per intrattenere un dialogo privilegiato con il ministero dei Beni culturali, quel dialogo che, secondo molti, negli ultimi tempi è venuto un po' meno.
Indipendentemente dalla persona, peraltro, la virtù principale del commissario ci si augura che possa esser quella di contenere le invasioni di campo. Nel mondo, specialmente in questi anni di crisi, si discute molto sul senso che deve avere l'intervento pubblico nelle cose della cultura; e non sono certo poche le voci che si sono levate (non necessariamente per esprimere posizioni di esagitato liberismo) per criticarlo radicalmente a partire proprio dal problema, che esso postula, dei criteri in base ai quali una cosa viene finanziata e un'altra no, ossia di chi, e per quale motivo, decide che i denari dei contribuenti debbano andare da una parte piuttosto che da un'altra. Se devono andare a Ravello, bisogna assolutamente che Ravello ridiventi un modello e un esempio, non più un caso clinico.
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