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Attualità

L’articolo 21 e la libertà di manifestazione del pensiero

Inserito da (ranews), mercoledì 14 novembre 2018 16:05:19

Di Patrizia Reso

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L'articolo 21 della Costituzione recita, al primo comma: «Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

L'articolo noto come quello sulla libertà di stampa, disciplina in effetti non solo la stampa, ma ingloba qualsiasi manifestazione di pensiero, dalla libertà di parola al cinema, dal teatro alla radio. È interessante conoscere il pensiero dei Padri Costituenti nel corso della stesura della Carta. Per questo, è possibile per tutti accedere al Portale Storico della Camera e leggere i resoconti parlamentari che furono redatti all'epoca, per comprendere appunto il grande dibattito che si sviluppò allora, non solo su ogni articolo, ma addirittura su ogni parola che veniva utilizzata per formularli.

Un banale esempio. Abbiamo letto che l'art. 21 si apre con la parola "Tutti", termine utilizzato proprio per garantire a ogni singola persona, senza distinzione di sesso, razza, religione o politica, la possibilità di manifestare il proprio pensiero.

Ci fu chi propose emendamenti, tra questi l'on. Andreotti, che proponeva di scrivere "Tutti i cittadini". Si sollevò un dibattito molto ampio ed articolato, che indusse l'onorevole a ritirare l'emendamento. Ne ricordiamo solo alcuni interventi che furono determinanti per la chiarificazione del concetto. L' on. Ghidini, che era anche un giurista, fu molto preciso: «Credo che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, attraverso ogni forma, non appartenga solo al cittadino in quanto facente parte dello Stato italiano, ma appartenga alla personalità umana. E questo diritto io lo riconosco a tutti: stranieri o cittadini che siano. Se invece con questa sostituzione si mira a creare una misura di carattere protezionistico nei riguardi dell'industria editoriale, le opportune misure potranno essere prese in altra sede».

A buon intenditor, poche parole.

Un solo divieto è espresso all'interno dell'art. 21 e lo si riscontra nell'ultimo comma: «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere la violazione».

La formula «contrarie al buon costume» equivale a «tutela della pubblica moralità e in vista della protezione della gioventù», concetto espresso dalla Prima Sottocommissione.

L'on. Moro: «Noi crediamo che almeno per le pubblicazioni oscene, almeno per gli spettacoli e per le altre manifestazioni che urtino contro il buon costume, sia ammessa non solo una severa repressione, ma anche una prevenzione adeguata e immediata... L'immediatezza è in questi casi indispensabile. Si tratta di evitare che il veleno corrosivo che si trova nella stampa pornografica e nelle altre manifestazioni contrarie al buon costume possa dilagare».

Ricordiamo che l'on. Moro era talmente coerente con le idee che manifestava, da restare in giacca e cravatta anche quando andava al mare con la figlia, in una giornata di sole, per rispetto al ruolo, carica che rivestiva.

Altri tempi, si penserà! Anche perché oggi ci si domanda se esiste ancora una moralità pubblica, o questa si si risveglia solo in relazione alla pedopornografia? Come è stato possibile il mercimonio del corpo femminile nel campo pubblicitario?, sempre per fare un esempio. Sappiamo tutti che non sempre si è trattato di arte, ma di pubblicità sessista che, se è vero che non offende la "moralità maschile", offendono sicuramente la moralità femminile, che molto probabilmente non si ritiene pubblica.

Infine, una considerazione relative a tutte quelle forze eversive e reazionarie che stanno invadendo la rete, anche attraverso sedicenti giornali online privi di responsabili e di nomi, e che purtroppo si stanno riversando anche sul territorio. È vero che esiste la libertà di espressione, ma queste comunità nostalgiche non hanno diritto a manifestare sempre per legge. Come ricorda egregiamente la senatrice Liliana Segre, «essere antifascista non è un'opinione, ma una legge dello Stato», mentre essere nostalgici di fascismo e nazismo è contro legge, dalla Costituzione, che ha lo scheletro antifascista, alle leggi specifiche che disciplinano questo settore.

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