Tu sei qui: AttualitàI costi culturali della turisticizzazione di massa
Inserito da Raffaele Ferraioli (redazionelda), lunedì 14 dicembre 2015 16:49:12
di Raffaele Ferraioli*
Il dibattito sul turismo si limita spesso ad affrontare problematiche di tipo esclusivamente economico e raramente si spinge ad approfondire gli aspetti culturali, antropologici e sociologici di questo fenomeno, che resta assai complesso. Raramente vengono valutati gli effetti che esso produce nell'organizzazione della società. Effetti in molti casi destabilizzanti, specie in certe realtà il cui tessuto è particolarmente fragile e vulnerabile. C'è una tendenza a considerare sempre e comunque in termini positivi l'impatto del turismo sulla realtà interessata da tale fenomeno. Da un'analisi minimamente attenta è facile riscontrare, invece, notevoli conseguenze negative. L'inevitabile incontro-scontro fra culture diverse innesca in moltissimi casi processi di vera e propria disgregazione sia economica che socio-culturale della comunità locale, che in moltissimi casi corre il rischio di essere ridotta al ruolo subalterno di "fornitrice di servizi", se non di essere addirittura estraniata.
Non è per niente facile diventare "area di ospitalità", dove forma ed estetica finiscono per essere il cuore del processo produttivo. In queste condizioni riuscire a conservare la propria identità è davvero problematico. Così come è impossibile evitare le sperequazioni fra chi viene coinvolto dal sistema e chi ne resta estraneo, quasi espulso. C'è, infine, chi è destinato a confliggere, ricevendo solo danni da quel processo di trasformazione e di adattamento che gli esperti definiscono, con un termine non proprio bellissimo, "turisticizzazione".
Per comprendere fino in fondo questo conflitto sommerso, oserei dire strisciante fra turista e abitante del luogo, ovvero fra ospitato ed ospitante, è opportuno analizzare con attenzione il modo di essere di entrambi. Studi recenti su tale argomento, condotti per essere posti a base di strategie promozionali e di marketing, hanno portato a scoprire verità a prima vista inimmaginabili. Motivazioni, valori dominanti, aspettative ricorrenti che il turista si porta dentro, ne condizionano i bisogni e le aspirazioni e ne determinano i comportamenti.
Gli studiosi di psicologia del turismo distinguono tre "tipi" fondamentali di turista: il "vacationer" o vacanziere, il "sightseer" o esploratore, il "drifter" o nomade. Valori dominanti sono: del primo il riposto, del secondo la scoperta, del terzo il movimento.
Il vacanziere aspira al relax, al benessere, al piacere. L'esploratore va alla ricerca di nuove esperienze e conoscenze. Il nomade è portatore di un bisogno di dinamismo. Piuttosto diffuse in tutti e tre si sono rivelate la tendenza all'esibizionismo, la voglia di evasione, il desiderio di fuggire dalla realtà, l'aspirazione al sogno, la ricerca dell'irreale, dell'irrazionale, dell'altrimenti, dell'altrove. Loro costante preoccupazione è che la vacanza risulti in sintonia con le loro aspettative, allontani le angustie, procuri un vero arricchimento interiore.
A questo punto, come nel "Sabato del villaggio", il godimento è nell'attesa, nel sogno che procede la fruizione. Si spiegano così certi atteggiamenti di anticonformismo, di ostentazione della libertà. Il turista si sforza di apparire quello che non è, recita un copione, spende al di sopra delle sue effettive possibilità, spreca, sciupa. Con tali atteggiamenti egli finisce per alimentare una spinta al consumismo.
Certi suoi comportamenti spesso degenerano nel chiassoso, nel lascivo e finiscono per confliggere con la quotidianità dei residenti, specie in quelle zone a sviluppo turistico iniziale, dove la cultura è resistente ai mutamenti e alle evoluzioni. Nasce così nei residenti una sorta di diffidenza, che rende difficile lo scambio e l'interazione. Il rapporto turisti-abitanti rischia di scadere ad un fatto essenzialmente economico, basato su una correttezza puramente formale. Si creano in tal modo due blocchi, che si contrappongono più che integrarsi.
Non è facile abbattere queste barriere e determinare quei mutamenti sociali che portano all'integrazione. Gli abitanti del luogo sviluppano uno spirito di emulazione, avvertono il fascino dell'evoluto, dell'emancipato. Ne consegue una spinta alla modernità e, nel contempo, alla dissacrazione dei valori tradizionali gelosamente custoditi di generazione in generazione. L'invasione dei "forestieri" fa vacillare le certezze, mette in discussione il passato, ingenera confusione, conflitti generazionali, tensioni sociali.
Si ha così una progressiva disgregazione della "comunità primitiva", con lo scadimento del folclore, ridotto a mera rappresentazione. Con l'abbandono delle attività tradizionali si ha l'assimilazione di nuovi linguaggi.
Accanto a questi effetti negativi è possibile annoverare anche note positive come l'accelerazione del processo di modernizzazione, di coscientizzazione, di miglioramento delle condizioni di vita dei residenti. Ne scaturiscono alla fine alcune domande: E' vero che il turismo è un mostro, capace di demolire ogni identità, ogni forma di cultura locale? Esiste la possibilità che nell'interazione fra visitatore e residente possa definirsi un nuovo circolo virtuoso di energia positiva, capace di trasformare il turismo in una forza produttiva di crescita scoiale e culturale? C'è di certo un nuovo modo di intendere il turismo, con un diverso atteggiamento, sia di chi ospita che di chi è ospitato.
Il genio incontra la pazienza, soffia sulle menti stanche e suoi cuori appassiti, porta via la polvere dei giorni tutti uguali. Tu puoi chiamarla, se vuoi, immaginazione. Noi la chiamiamo arte del viaggiare, cultura dell'accoglienza e dell'ospitalità. Siamo convinti che questo miracolo possa avvenire. Quanto meno vorremmo provarci!
*sindaco di Furore
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