Gourmet'E Ricce Furetane (quelli Minoresi)

'E Ricce Furetane (quelli Minoresi)

Inserito da (redazionelda), sabato 24 febbraio 2018 10:18:12

di Sigismondo Nastri

Il primo piatto della domenica, a casa mia, era rappresentato quasi abitualmente da ‘e ricce c’ ‘a pummarola. Per papà era quella la pietanza della festa. Li acquistavamo nella salumeria di Crescenzo, a Minori, il paese della Costiera dove c’era (c’è ancora) una nobile tradizione artigiana in questo campo, di matrice femminile. Chiamateli pure - più elegantemente – fusilli (per la forma affusolata), ma per me restano ricci. Anzi, ricce furetane. E se il sostantivo si riferisce al modo in cui sono arricciati, l’aggettivo furetano ne attesta la identità campagnola, contadina (dal lat. foritanus, tratto da foris = fuori) nella quale io mi sono sempre riconosciuto. Ne sancisce la genuinità. Oggi si trovano in negozio, già confezionati in sacchetti da mezzo chilo, di produzione industriale. Non sono la stessa cosa.

Il mio ricordo va ai ricci preparati sul tavolo della cucina, utilizzando i ferri per la lana. Quelli della fotografia, che pubblico qui, sono minoresi autentici: un gentile cadeau, del quale sono vivamente grato.

Li facevamo anche noi, sia pure di rado, quando ero ragazzino: una pazza gioia, in un tempo segnato dalla guerra e dalla carestia. Cerco di spiegarne, in sintesi, la lavorazione. Partendo dagli ingredienti: farina di grano duro, disposta a fontana, un pizzico di sale, acqua tiepida. E tanta forza di gomito. Quando tutto s’è ben amalgamato, si dà all’impasto una forma rotonda e lo si lascia per un po' a riposare. Dopo di che se ne preleva un pezzetto per volta per trasformarlo, scivolandovi sopra con entrambe le mani, in una specie di cordoncino sottile, che viene tagliato in bastoncini, tutti della stessa misura: credo, 12/14 centimetri. A questo punto entra in azione il ferretto, intorno al quale, sempre con un delicato scorrimento della mano, si fa attorcigliare ciascun bastoncino. Occorre che il ferro sia asciutto e la pasta bene infarinata perché ‘e ricce possano essere sfilati senza rompersi. Una breve asciugatura, ben allineati, su uno strofinaccio ed eccoli pronti per la cottura in abbondante acqua bollente. Gli esperti sostengono che la forma a spirale sia ideale per trattenere il sugo: ovviamente, un robusto ragù . Di salsiccia, ha sottolineato l'amico che me li ha portati. Naturalmente, sì.

Articolo tratto dalla raccolta"'A cannarizia" (Area Blu edizioni)

Per saperne di più:

"‘A cannarizia", la grande tradizione gastronomica della Costa d’Amalfi raccontata da Sigismondo Nastri

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