ChiesaIl ritrovamento delle Reliquie di Santa Trofimena, storia di un evento prodigioso

Il ritrovamento delle Reliquie di Santa Trofimena, storia di un evento prodigioso

Inserito da (redazionelda), lunedì 26 novembre 2018 11:51:04

di Francesco Reale

Ricorrerà nelle prossime ore il 225esimo anniversario del secondo rinvenimento delle sacre Reliquie di Santa Trofimena, avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 novembre del 1793. In un giorno così carico di ricordi e vibrazioni interiori, è bene fermarsi e fare il punto: modo migliore non c'è che quello di aprire il libro della storia e rispolverare le pagine che ripercorrono gli avvenimenti che andremo a commemorare, per rinvigorirne il senso e per meglio predisporci a vivere ciò che la provvidenza ci ha permesso di celebrare.

Premessa:il 13 luglio 839, la metà del Corpo di Santa Trofimena restituita alla Comunità di Minori dal vescovo di Benevento Orso fece ritorno a Minori dopo aver fatto tappa a Salerno. Il giorno seguente l'urna fu nascosta nelle viscere dell'allora Cattedrale, «in quel luogo», come ci ricorda l'Anonimo redattore della "Historia Inventionis ac Traslazioni et Miracula Sanctae Trofimenis", «dove lei stessa aveva prescelto la prima dimora e in quello rimane". Nella mente e nel cuore di tutti era radicata la certezza che il venerato deposito giacesse nei pressi dell'altare dedicato alla Vergine nell'antica Cattedrale pur rimanendo ignota la precisa collocazione persino ai più anziani, come si evince dalla visita "ad limina" di fr. Giorgio Lazzari, vescovo di Minori, del 1606. Sebbene ciò, tutte le ricostruzioni della Cattedrale tennero presente la suddetta credenza e pertanto inglobarono sempre l'altare che, nell'ultima "versione", era situato "in frontespitio maioris partae ecclesiae". Nel corso del XVIII sec., versando la suddetta Cattedrale in una status di «minantem ruinam» , il vescovo Stanà dispose la sua totale ricostruzione. Durante questi lavori accaddero gli avvenimenti che andiamo ora a ricordare.

Nel 1793, essendo i lavori a buon punto, si aspettava con ansia la demolizione della Cappella di Santa Trofimena al fine di poter rivedere, dopo nove secoli, le venerate ossa di cui Minori è degna custode. Come si evince dagli atti degli interrogatori, le autorità ecclesiali temporeggiavano ad autorizzare tale operazione, forse con il timore che quanto tramandato dalla tradizione, delusa, si sgretolasse insieme con le macerie del venerato altare. A motivo di ciò, il maccaronaro Gioacchino Farace, in uno con i compagni Andrea Di Florio, Angelo Galibardi, Francesco Della Mura, Nicola Mansi e Gennaro Palumbo, fu spinto da «la sola fede e divozione", «parendo (...) che non veniva mai il tempo da scamparsi il luogo dove si diceva da tutti che v'era la Santa", a recarsi «per ben tre volte a sfabbricare il luogo dove credevo poter ritrovare il corpo della Santa" contro il volere dei sacerdoti e «cogliendo l'opportunità di colui che sonava le campane per lo segno dell'Ave Maria» entravano furtivamente. Il Farace raccontò nell'interrogatorio redatto negli "Acta originalia Inventionis, Extractionis, Recognizionis, Ostensionis et Reposizionis Sacrorum Ossium Divae Trophimenae dictae Civitatis Patronae praecipuae, un intus f. 1" che la terza sera di ricerche, arso dalla volontà di ritrovare quella stessa notte il venerato deposito, invito i suoi compagni a far precedere lo scavo dalla preghiera («Figliù dicimmici a Litania a Madonnna, ca Nui sta' sera vulimmo trovare la santa Nostra"). Una volta terminata, illuminato, forse, da divina intuizione, indicò un luogo che non era stato oggetto di scavo nelle sere precedenti. Dopo aver rimosso un gran numero di pietre si videro avanti una sorta di muro «de' mattoni» posti a chiusura di una nicchia («cameretta lunga quattro palmi in circa, e larga un palmo e mezzo, alta un palmo in circa»). Dietro questa ve ne erano altre due che furono opportunamente sfabbricate. Allo smantellamento della terza Angelo Galibardi affermò: «ca ci stanno i fungi». A questo punto il Farace accostò una lucerna al fine di rischiarare quel punto ma quella si spense, riaccesala la accostò nuovamente, accorgendosi che «non erano funghi, ma ossa di petto umano» e a gran voce esclamò «chesta è a Santa Nostra». In quel momento fu colpito da grande tremore e, unitamente ai compagni, udì un suono non udito nelle due notti precedenti. Mosso dalla paura fece chiamare le autorità ecclesiastiche «nelle loro case rispettive il Sacerdote D. Calo Matteo Palumbo Eddomadario della Cattedrale, ed unitamente con questo (...) il Mag. D. Ferdinando Carretta come Primo Deputato della fabbrica della Chiesa, e di poi il Sig.r Vicario Capitolare D. Giovanni Gambardella» ordinando, poi, di ritornare rispettivamente alla proprie case «a fine di non commuovere tutto il popolo». Erano le 4.30 del 27 Novembre.

Sopraggiunte sul luogo le autorità ecclesiastiche ordinarono che non venisse più toccato quel luogo e che sarebbero dovuti tutti tornare nelle proprie case ma, in realtà, rimasero tutti in compagnia di Don Carlo Matteo Palumbo: «ci restammo tutta la notte (...) e non ci siamo più partiti di là, e stiamo ancora là».

Le autorità ecclesiastiche e cittadine pregarono il rev. Fra Silvestro Miccù, vescovo di Scala e Ravello (essendo Minori sede vacante dopo la morte di Mons. Torre) di sopraggiungere sul luogo «essendo ispezione propria de' Vescovirivedere, esaminare, riconoscere, amovere dal luogo dove sono, autenticare, traslatare le Sacre Reliquie». Mons. Miccù si recò a Minori due giorni dopo, il 29 Novembre, come ricorda il presule, il popolo era in trepida attesa di rivedere le Ossa della Santa. Al suo arrivò si preoccupò di interrogare gli autori del rinvenimento, in primis Farace, e poi di andare egli stesso a constatare in loco lo stato delle cose. Si trovò difronte quanto l'Anonimo Minorese aveva riportato e «cioè che il Sacro Deposito si trovasse sotto tre camerette (...) e riposte su nitidissime pomici". Il giorno seguente, 30 Novembre, si recò nuovamente sul posto del rinvenimento, in presenza questa volta dei testimoni che emisero giuramento.

Nominò, inoltre, una commissione di «cinque teologi e uomini pii» perché, a fronte delle fonti storiche, verificassero se si trattassero veramente delle ossa di S. Trofimena. Nella loro relazione, datata 1° dicembre ore 14 circa, I domenica di Avvento, affermarono che «Dalla Storia dell'Anonimo abbiamo trovato cinque circostanze (...) le quali così bellamente convengono nel presente negozio (...): il corpo fu tumulato sotto tre camerate mirabilmente costruite; (ndr. posto) sopra pomici nitidissime; non deve essere integro; è un corpo che appartiene ad una fanciulla tenera (ndr giovanissima); che fu sepolto profondamente.» e ancora che «nessuno di mente sana può dubitare essere di S. Trofimena». Preso atto dei fatti, mons. Miccù non attese un minuto in più e alle ore 15 di quel 1° dicembre si recò insieme al Clero nella Cattedrale e, dopo aver celebrato Messa privatamente, dopo aver tenuto un sermone penitenziale al popolo, scese insieme al clero di Minori, Maiori, Ravello e Scala in Cripta. Giunto al loculo intonò il Veni Creator Spiritus e fece prestare giuramento agli Anatomisti che «essi optime sapevano riconoscere le ossa umane avanzate dopo 15 secoli e dirne il nome di ciascuna di loro». Le Ossa erano disposte quasi in ordine naturale, non essendo molto distanti il vescovo le estrasse con le sue stesse mani in uno con le pomici superiori su cui erano adagiati i Resti, al fine di non perdere centinaia di «frammenti di ossa, che per la piccolezza non potettero essere specificate e numerate dagli Anatomisti». I resti furono adagiati su della morbida ovatta in un urna laminata, dotata nella parte anteriore di un vetro, e esposti alla pubblica venerazione per l'intera giornata (a sera la cassa fu riposta in un armadio).

Il 2 dicembre si procedette alla Ricognizione canonica che vide all'opera gli anatomisti D. Agnello Cantalupo, di Maiori, e D. Serafino Pepe e D. Michele Palumbo di Minori. Questi enumerarono tutte le Ossa e l'elenco da loro redatto fu utilizzato anche nelle ultime due ricognizioni canoniche del 6/4/1968 e del 20/11/1993. Le particelle di materia nera e spugnosa che, a detta dei medici, dovevano essere sangue, furono conservate in un ampolla di vetro di forma cilindrica riposta nell'urna insieme ad un crocifisso, ad un crogiulo con pomici e frammento d'osso (ancora presente oggi nell'urna), una moneta d'argento del valore di sei carlini ed una in piombo su cui fu incisa la sintesi dell'avvenimento. Fu inserito, inoltre, anche il verbale di ricognizione firmato dai sacerdoti presenti. L'urna, in legno e rivestita internamente di lamine di piombo, avvolta in un panno di seta, fu sigillata subito dopo con diversi sigilli in ceralacca e riposta nell'armadio da cui era stata estratta.

Il 5 dicembre, su richiesta del Vicario Capitolare, si tenne una S. Messa solenne e la processione per le vie della Città. Al rientro in Cattedrale l'Urna fu collocata in un piccolo loculo sotto l'altare maggiore.

Il 12 luglio dell'anno seguente, 1794, l'urna contente le reliquie della Santa fu traslata nella nuova (e attuale) cripta e riposta nel sarcofago mamoreo tutt'ora esistente. Anche tale operazione fu seguita da Mons. Miccù.

Laus Deo, ad perpetuam rei memoriam!

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