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Tu sei qui: SezioniStoria e StorieRavello, due i delitti nella storia: quando a morire sono il sindaco e un bambino
Scritto da Emiliano Amato (Redazione), domenica 29 marzo 2015 00:35:11
Ultimo aggiornamento venerdì 15 maggio 2020 11:41:45
di Emiliano Amato
Ravello è ancora incredula rispetto ai gravi fatti di cronaca scoperti venerdì scorso. Mai nella sua storia recente si era verificato un omicidio nel proprio territorio. L'ultimo avvenne nel lontano 1888 quando ad essere assassinato fu il sindaco, tal Giuseppe D'Amato, avvocato. Il delitto avvenne il 9 maggio mentre il primo cittadino si recava a Minori attraverso via Cappella, nei pressi del borgo Torello. Intorno alle 7.30 del mattino, proprio nei pressi della chiesetta era nascosto un uomo, Aniello Cerrato, nato a Ravello e poi trasferitosi a Minori, usciere di Pretura, che fece esplodere alcuni colpi di fucile che ferirono mortalmente il sindaco. Morì dopo 4 giorni. Movente dell'omicidio fu il disonore subito dal Cerrato, a causa della relazione sentimentale che sua moglie intratteneva col sindaco di Ravello. A documentare l'episodio gli atti dell'epoca, conservati presso l'Archivio di Stato di Salerno, di recente rinvenuti dall'archivista e storico ravellese Salvatore Amato.
L'omicida, persona colta, aveva architettato tutto nei minimi dettagli: un mese prima aveva commissionato una tonaca da prelato che indossò il giorno seguente l'attentato per imbarcarsi da Cetara a Napoli e dal capoluogo partenopeo, a bordo di un veliero, alla volta dell'Argentina. Non fece mai più ritorno a Minori e per questo motivo il processo a suo carico non si potette mai celebrare. Lasciò una lunga memoria dove spiegò i motivi che lo avevano indotto a premere il grilletto e a cambiare il corso della sua vita. Ancora oggi la famiglia Cerrato è presente a Buenos Aires. Da quell'episodio venne coniato un detto ancora oggi ricordato tra i più anziani a Ravello: "Nu colp 'e turnese salvaje o paese".
Una fonte di eccezionale valore, questa, per la storia sociale del villaggio di Torello nella seconda metà dell'Ottocento.
Ma il più noto degli omicidi a Ravello è datato 1842. Vittima sacrificale un bambino di soli sette anni. Un sedicente mago, tal Don Paolo, fonditore di campane, era ospite presso Palazzo Rufolo. Possedeva una verga d'ottone capace, a suo dire, di controllare gli spiriti. Un "potere" a cui, nella Ravello dell'epoca, credettero in tanti. Diversi gli abitanti che cominciarono a seguire l'uomo misterioso che rivelò l'esistenza di un tesoro nascosto proprio nel palazzo nobiliare più importante della città, protetto da un fantasma. Secondo quell'uomo, per poterlo scoprire e appropriarsene bisognava sacrificare un infante dal sangue puro, maschio, nella prima notte di luna piena.
Furono sette le persone che credettero a Don Paolo e si misero alla ricerca del bambino che avrebbe, peraltro, dovuto avere i capelli biondi e gli occhi azzurri. Fu individuato e rapito nottetempo: si chiamava Onofrio Somma e aveva solo sette anni, abitava in via Monte Brusara. Trascorse tre notti rinchiuso a Palazzo Confalone (oggi sede dell'hotel Palumbo) in attesa della notte di luna piena. Il bambino venne condotto ai piedi della torre maggiore di Villa Rufolo e venne scuoiato al segnale del sedicente mago. Il suo sangue innocente versato sul selciato con la luna a fare da testimone.
Ma nessun tesoro venne mai ritrovato. L'atroce delitto non restò impunito: i responsabili vennero arrestati e processati: quattro di questi condannati a morte e tre ai lavori forzati. A documentare il tutto gli atti del processo, romanzati nel libro "Il segreto dei tesori di Palazzo Rufolo" del cardiologo e scrittore Salvatore Ulisse di Palma.
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