Politica“Martedì grasso” in cucina, l’ultimo giorno di Carnevale con le sue tradizioni in Costa d'Amalfi

“Martedì grasso” in cucina, l’ultimo giorno di Carnevale con le sue tradizioni in Costa d'Amalfi

Inserito da (redazionelda), martedì 16 febbraio 2021 17:49:51

di Gabriele Cavaliere

Oggi è "Martedì grasso" l'ultimo giorno di Carnevale, che precede il "Mercoledì delle Ceneri", primo giorno di Quaresima.

Pare che il termine "Carnevale" derivi da "Carnem Levare", ovvero eliminare, finire tutta la carne, in modo che non ne resti per le quattro settimane successive, che dovranno essere "di magro", in modo da potersi degnamente preparare alla Santa Pasqua/rinascita del Signore...

A tale scopo il martedì è il giorno di massimo scialo, quello in cui si dà sfogo a tutte le gioie "carnali". Tra quelle lecite, quindi, ci occuperemo di quelle gastronomiche e, più nello specifico, della "festa del porco", un rito che però va sempre più scomparendo qui in Costiera e che, nel sacrificio dell'animale domestico per antonomasia, celebra il benessere (anticamente la stessa sopravvivenza) di tutta la famiglia!

Nei tempi passati le famiglie che allevavano il maiale ad Amalfi equivalevano pressappoco a certe grandi famiglie della nobiltà napoletane che possedevano una propria scuderia. Al posto dei purosangue i maiali. Un lusso che non tutti si potevano permettere.

In linea di massima le famiglie possidenti vantavano oltre al maiale anche una piccola tenuta in campagna, gestita da fattori o da mezzadri che, oltre a coltivare la terra, allevavano anche polli, conigli, piccioni e maiali. Di solito questi lavoratori allevavano due animali, uno per il padrone e l'altro, che veniva "cresciuto" con il permesso di quest'ultimo, per sopperire alle esigenze della propria famiglia. Il maiale, infatti, è stato per secoli la dispensa delle popolazioni rurali. Una riserva di grasso e proteine che, insieme all'orto, garantiva la sussistenza, e perfino un certa agiatezza.

I maiali venivano acquistati piccoli, alla fiera rurale che si teneva a giugno in occasione dei festeggiamenti di Sant'Andrea, in modo che la macellazione si potesse fare nei mesi freddi, solitamente tra la metà di gennaio e la fine di febbraio, in pieno periodo carnevalesco.

L'uccisione del maiale seguiva un vero e proprio rituale, a tratti decisamente scabroso.
All'alba del giorno prescelto all'animale veniva fornito un ultimo pasto delizioso, un po' come si usava dare l'ultima sigaretta al condannato a morte. Contestualmente si accendeva il fuoco sul quale veniva messa la "caurara", ovvero un fusto di ferro pieno d'acqua.

L'acqua che iniziava a bollire era il segnale per l'esecuzione. Il maiale veniva legato e trascinato a forza fuori dal porcile. Tenendolo fermo su di un vecchio tino o su di una panca, il maiale veniva sgozzato con un fendente alla carotide. Il sangue che usciva a fiotti dalla ferita veniva prontamente raccolto con un secchio e, una parte veniva messa subito a bollire, destinata a fare da condimento alla pasta, ed un'altra parte lasciata cruda, per la preparazione del sanguinaccio dolce, oggi sostituito dal Cioccolaccio!

Una volta che l'animale era morto, servendosi di grossi coltelli e di acqua bollente, si procedeva alla raschiatura delle setole. Con l'aiuto di una carrucola la carcassa veniva issata e, con mano esperta "spaccata" in due parti. Le interiora, man mano che venivano estirpate dal corpo, venivano raccolte in un grande cesta e subito messe a bagno per fare spurgare il sangue. Fegato, "tredici morsi" (pancreas), la "pariata", che si trova subito dopo lo stomaco, la "figliarola" ovvero la vulva, se il maiale è di sesso femminile, insieme ai brandelli di carne che restavano attaccati agli organi, venivano invece affidati alle donne di casa che, fattasi ormai l'ora di pranzo si apprestavano a preparare il grande pranzo che avrebbe concluso la giornata. Come prima portata si preparavano gli spaghetti con il sangue, i pinoli, l'uvetta e le foglie di alloro. Il secondo era la "tiella", ovvero una grande padellata di cane mista a frattaglie, che veniva fritta nel grasso dell'animale e profumato di foglie di alloro. Altra preparazione tradizionale era il "zuffritto", una minestra fatta anch'essa con le interiora di maiale (milza, polmone, trachea, cuore, reni) cotte lentamente nello strutto con peperoncino, alloro e altre erbe aromatiche ma questa, solitamente, sera riservata per la cena, consumata insieme ad un buon vino rosso!

Dopo il banchetto, orami raffreddatosi, la carcassa dell'animale veniva trasportato all'interno di un capanno, e qui lasciato appeso a sgocciolare per una notte intera. Il mattino seguente, sempre all'alba, aveva inizio la "sfasciatura", ovvero la sezionatura della carcassa, quasi una lezione di anatomia, che veniva divisa in base ai vari tagli di carne...

 

Grande maestria nella lavorazione del maiale, e vera "arte norcina" la si esprimevano gli "accirapuorchi" e i "conciatori" che abitavano nei paesi dell'Alta Costa. Ad Agerola, in particolare, l'arte di lavorare la carne suina risale addirittura al medioevo. La "salata Agerolese", così veniva definita la conciatura delle carni fatta dai maestri norcini, era talmente antica e rinomata che, tramandano le cronache, dal 1284 Carlo D'Angiò, re di Napoli, prese a rifornirsi annualmente di deliziosi "Salsiggiotti e Progiotti" nonchè di "Pangette" e lardo affumicati.

I salumi di Agerola, ma anche quelli confezionati negli altri paesi dell'Alta Costa, si distinguono da altre produzioni per la qualità delle carni ma, soprattutto, per la lavorazione, che prevede l'aggiunta di lardello alla parte "magra", lavorati entrambi "a punta di coltello", ed insaporiti con sale, pepe nero (sia macinato che in grani), vino bianco e, nel caso delle salsiccia, con i semi di finocchietto selvatico.

Una volta insaccata, esclusivamente in budello di suino, legato a mano con spago naturale, il prodotto veniva messo ad asciugare in luoghi asciutti ed areati, quindi affumicato, bruciando rami di mirto e di rosmarino.

Di varia forma e pezzatura, assolutamente da assaggiare: le "soppressate" i salami, la salsiccia, sia fresca che stagionata, i "capocolli" le coppe, le "ventresche" le pancette, sia aperte che arrotolate, le "pezzente" salsiccia piccante e la "nnoglia", queste ultime due preparate le con parti meno nobili del maiale miste alla "scannatura", ovvero la carne vicino alla testa, che costituivano la componente principale della Menesta mmaritata! L'appuntamento, quindi, è per Pasqua!

 

Tratto da Q.B. Storie d'amore e di sapore dalla Costa d'Amalfi di Gabriele Cavaliere, Officine Zephiro Editore

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